Prima puntata di una storia lunga 1500 anni e ancora da scoprire.

Banbhore #1. Storia di una città portuale

Un’antica città cinta da mura possenti difese da ben 55 torri lungo il delta dell’Indo. Oggi sono proprio le maestose rovine di quella cinta muraria a delimitare il sito di Banbhore. La città, che domina la piatta regione circostante, è lambita a sud dal Gharu creek, mentre ad est la delimita una corona di dune, costellata di infossamenti palustri dove crescono cespugli di acacie e mangrovie. Il sito è composto da una “cittadella” fortificata e una vasta area di rovine extra moenia – strutture portuali, quartieri urbani e suburbani, magazzini, officine, sbarramenti artificiali.
L’importanza del sito è legata alla sua posizione strategica e all’ambiente circostante. Infatti, diverse fonti storiche danno notizia di una città portuale, alla foce dell’Indo, che svolse un ruolo centrale a partire dal III secolo a.C. Gli studiosi hanno identificato questa città con l’emporio di Barbarikon – menzionato dall’autore del “Periplus Maris Erythraei “- e con la città portuale sasanide e islamica chiamata Deb / Debal / Daybul, menzionata per la prima volta dal predicatore Mani e da fonti successive in arabo e persiano. Anche se l’identificazione è controversa, la posizione e l’imponenza della cittadella sul Gharo lasciano supporre un collegamento tra il sito e quelle antiche città.
Nella regione del delta dell’Indo gli archeologi hanno scoperto altri siti, tuttavia nessuno presenta le stesse imponenti strutture architettoniche e i requisiti archeologici riportati alla luce a Banbhore, e che coprono un arco di temporale di circa 1.500 anni!
La Missione Italiana a Banbhore
Il sito aveva attirato l’attenzione degli archeologi sin dalla seconda metà dell’Ottocento, accendendo un dibattito circa la sua identità e ragion d’essere. Negli anni ’50 del Novecento, un archeologo pakistano, il Dott. F.A. Khan, intraprese per primo una campagna di scavi ben organizzata, che riportò alla luce strutture architettoniche ed evidenze archeologiche stupefacenti. Purtroppo le sue note di scavo sono andate perdute e del lavoro svolto resta solo un libretto, tuttora guida ai visitatori del sito.
Nel 2010, il Governo Provinciale del Sindh ha deciso di dar vita a una nuova campagna di ricerca, che ha visto l’Italia come capofila: il Progetto di Ricerca Sorico-Archeologico Pakistano-Francese-Italiano a Banbhore (2010-2015). Sotto la direzione di un fisico italiano, il Professor Mario Piacentini, i ricercatori hanno allestito un Laboratorio di Archeometria, per una più completa lettura storica e archeologica del sito. Grazie alla realizzazione di una nuova mappa mediante riprese orto-fotogrammetriche da aquilone, infatti, sono state scavate nuove trincee che hanno fornito stratigrafie e assemblaggi con materiali in situ e datazioni. Nel territorio circostante sono state effettuate inoltre prospezioni e indagini geo-morfologiche, procedendo in parallelo a una rilettura delle fonti storiche alla luce dei dati che venivano via via emergendo.
Dicembre 2016: l’inizio di una nuova amicizia culturale Italo-Pakistana
Grazie a questa nuova campagna di scavo è emersa un’incredibile realtà storica, celebrata dall’allora Console Italiano a Karachi, in collaborazione con il Ministro per le Antichità, Turismo e Archeologia del Sindh, con un “Seminario sulle ricerche della équipe Italiana a Banbhore, modus operandi, principali risultati conseguiti, e training impartito ad elementi selezionati da altre Università del Sindh”. Oltre 100 studenti e professori vi hanno preso parte, mentre il Consolato Italiano a Karachi ha distribuito oltre 80 attestati di frequenza.