Uno sguardo al passato per capire com’era l’Archivio Storico del MAE nei primi decenni del ‘900.
L’archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri ieri… e oggi
In un precedente articolo della rubrica Le Carte e la memoria abbiamo parlato di Alberto Cametti, musicista e storico della musica ma anche per molti anni archivista presso il Ministero degli Affari Esteri. Cametti iniziò a lavorare presso l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero nel 1906 e vi rimase fino al 1935, anno della sua morte. Sappiamo che durante questi anni Cametti svolse numerose mansioni presso l’Archivio Storico, fra cui la revisione ed archiviazione di circa 6000 buste e 1500 registri in occasione del trasferimento di fondi dell’Archivio Storico dal palazzo della Consulta ai nuovi locali di via della Mercede, fra il 1932 e il 1933. Oltre a ciò, Cametti era saltuariamente impegnato nella supervisione dei traslochi, che si verificavano quando dei fondi venivano spostati per esigenze di spazio da un locale all’altro, oppure quando venivano versati all’Archivio e dovevano trovarvi una collocazione.
La documentazione conservata presso l’Archivio ci permette tuttavia di farci un’idea piuttosto precisa anche di quella che doveva essere all’epoca la principale attività quotidiana di un archivista, ossia il servizio di ricerca documentaria. Si conserva infatti un fascicolo contenente la corrispondenza inviata a Cametti dal Direttore dell’Archivio Storico, l’archivista Oreste Fossati, relativa agli anni 1925-1931. Si trattava quasi sempre di richieste che arrivavano da uffici del MAE, o in alcuni casi da altri Ministeri o Enti, interessati a consultare fonti storiche (soprattutto circolari, atti, convenzioni e trattati, ma anche dispacci e rapporti scambiati con le sedi estere del MAE) che costituivano i precedenti degli affari che questi uffici stavano trattando. Le richieste potevano arrivare anche da governi stranieri: per esempio nel 1929 uno studioso danese, tale Aage Friis, fu autorizzato direttamente da Dino Grandi, su richiesta del governo danese, a condurre ricerche sulla questione dello Schleswig-Holstein nelle carte scambiate fra il MAE e la Regia Legazione d’Italia in Danimarca fra il 1861 e il 1880. Non accadeva invece che il servizio di ricerca della documentazione d’archivio fosse accessibile a privati cittadini.
Esaminando il carteggio si può osservare che le richieste giungevano sempre in via gerarchica al direttore Fossati, che era anche il capo dell’Archivio del Gabinetto del Ministro, e da Fossati venivano girate a Cametti. Quest’ultimo comunicava poi a Fossati i risultati delle ricerche e Fossati inoltrava infine le risposte a coloro che si erano rivolti al Servizio storico. Cametti, che era in servizio presso l’Archivio dal 1906, aveva accumulato negli anni una conoscenza approfondita della documentazione prodotta dai vari uffici del Ministero e ciò gli permetteva di eseguire gli incarichi con rapidità ed efficienza. Poiché le carte d’archivio erano conservate all’epoca presso il palazzo della Consulta, i faldoni richiesti per tali ricerche dovevano essere portati materialmente a Palazzo Chigi, che era sede del Ministero e pertanto ospitava i vari uffici, e da qui riportati indietro alla Consulta quando i documenti non erano più necessari. In un altro fascicolo sono conservate delle carte in cui qualcuno, forse lo stesso Cametti, aveva annotato tutto ciò che risultava mancante dall’Archivio: non molto, a dire il vero, considerando anche il frequente andirivieni di faldoni che doveva verificarsi.
Nella sostanza, il lavoro di un archivista degli anni Venti e Trenta non era poi molto diverso da quello di un moderno archivista. Certo, molte cose sono cambiate: anzitutto, oggi le richieste di accesso alla documentazione d’archivio non giungono solo dagli uffici del MAECI o da altre istituzioni, ma anche da accademici e studenti per finalità di ricerca, nonché da privati cittadini per ricerche di carattere personale. Inoltre, gli strumenti di corredo (inventari, elenchi di versamento) sono oggi disponibili online e possono essere consultati da remoto in preparazione della visita alla Sala Studio dell’Archivio. Si è poi iniziato a digitalizzare una parte dei fondi, per renderli fruibili a chi li richiede senza che sia necessario recarsi fisicamente alla Farnesina. Infine, sono sempre più numerose le iniziative di valorizzazione del patrimonio archivistico del MAECI, che attraverso mostre, visite guidate, video e post sui canali social della Farnesina permettono di raggiungere un pubblico sempre più vasto.