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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura di Zurigo
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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura di Zurigo

Categorie: Musica e spettacolo

Intervista con il Direttore Francesco Ziosi

Francesco Ziosi
Francesco Ziosi

Francesco Ziosi è nato a S. Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, nel 1982. Ha studiato Storia Antica all’Università di Bologna e alla Normale di Pisa. Entrato al Ministero degli Affari Esteri nel 2012 come funzionario culturale, è stato addetto reggente all’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera dal 2016 al 2021. A partire da metà agosto 2021 è Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo.

 

Può tracciare, per le lettrici e i lettori di italiana, un ritratto dell’Istituto Italiano di Cultura da lei diretto e della sua storia?

L’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo è l’unica istituzione culturale statale straniera attiva in Svizzera: mentre gli altri Istituti cugini europei o sono assenti o hanno solo dei centri d’esame, l’Italia ha scelto di sviluppare una propria attività culturale nella confederazione in prima persona. Questo ha sostanzialmente a che fare con la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera: l’Istituto nasce infatti nel 1951, al momento dell’inizio della prima grande ondata migratoria dal Sud delle Alpi. Siamo un Istituto piccolo, a tutti gli effetti tre stanze dentro il Consolato Generale: questo per alcuni aspetti ci penalizza – dobbiamo sempre andare spazi esterni – ma d’altro canto ci impone di avere una consapevolezza piuttosto solida del panorama culturale zurighese. Aspiriamo a essere un punto di riferimento fondamentale per la cultura italiana in Svizzera, sia per il pubblico che per le istituzioni, quando il discorso si fa qualitativamente alto.

Come racconterebbe la città e la sua scena culturale ? Quali sono i più importanti rapporti di collaborazione che l’Istituto intrattiene con istituzioni ed operatori culturali?

Si parte dal fatto che uno zurighese su due non è svizzero e Zurigo è una della città più ricche del mondo. Esiste una scena istituzionale molto importante (e molto ben finanziata): le due orchestre della Tonhalle e dello Opernhaus, o ancora il Filmfestival, il Kunsthaus, e ancora due università fra le migliori del mondo; ma anche una scena culturale “off” molto vivace, fatta di centri culturali giovanili, caffè storici, teatri indipendenti. Cerchiamo di tenere d’occhio sia l’una che l’altra. Abbiamo un dialogo avviato, a vari livelli, con tutte le istituzioni che ho citato, con il Museo Nazionale Svizzero, con Casa Jung, con altri ancora. Abbiamo anche in animo di lavorare con altre rappresentanze straniere attive qui, stiamo sviluppando un progetto fotografico insieme al Consolato del Kosovo. Le sinergie possono essere diverse: spesso le istituzioni sono interessate al pubblico italofono, e allora organizziamo una “Rahmenveranstaltung” italiana intorno a una mostra che si tiene in un museo, oppure cerchiamo di sviluppare sinergie su temi che condividiamo con altre Istituzioni, ad esempio il Forum per l’Italiano in Svizzera: non dimentichiamo che siamo nell’unico altro Paese al mondo che ha l’italiano come lingua di amministrazione.

In un contesto in cui e tutte le componenti del “Sistema Italia” contribuiscono e mirano al successo complessivo, quali sono le migliori esperienze di questa Sede?

Più che delle migliori esperienze, mi piacerebbe parlare dei migliori progetti. In questo senso Zurigo è un città fondamentale nel mondo per la ricerca scientifica e per l’architettura. Oltre ai rapporti che intratteniamo sia con l’Università che con il Politecnico, stiamo impostando un lavoro, insieme al Consolato Generale, con la comunità di ricercatori e startupper della città attraverso la rete AIRicerca, per organizzare dei momenti di presentazione delle esperienze scientifiche in forme e con linguaggi accessibili a un pubblico non addestrato, magari facendo dialogare studiosi e ricercatori di formazione diversa. Per l’architettura non molti sanno che lo sviluppo dell’architettura svizzera è stato molto importante il magistero, qui al Politecnico di Zurigo, di Aldo Rossi, i cui allievi hanno portato l’architettura elvetica oltre Le Corbusier.

Che ruolo gioca la comunicazione nel rapporto con il pubblico dell’Istituto? 

La nostra sfida più importante in questo momento è tornare a produrre cultura in autonomia: questo vuol dire necessariamente contrarre le risorse date a iniziative sviluppate da altri, e al contempo è un’assunzione di responsabilità in prima persona con il nostro pubblico – oltre che molto lavoro in più, ma non ce ne lamentiamo. Questo ha anche un risvolto comunicativo importante: significa passare da ente finanziatore (tra l’altro dalle finanze modeste, per la città) a soggetto culturale che elabora una proposta leggibile e, nella varietà, coerente. Per quanto riguarda i social, cerchiamo di usarli parte per promuovere la nostra attività ma soprattutto per fare un altro tipo di lavoro, da un lato dando spazio alle novità del panorama culturale italiano, e dall’altro creando contenuti autonomi che hanno come focus soprattutto i rapporti culturali tra Italia e Svizzera, che sono fitti e spesso inaspettati. La comunicazione migliore resta però sempre la qualità della proposta. Se a Zurigo ci sono molte Ferrari, Lamborghini o Maserati è perché intorno a Modena ci sono designer e ingegneri che sanno immaginare le macchine migliori del mondo (e, aggiungo, operai che sanno costruirle): non perché hanno azzeccato uno spot.

Sia pure gradualmente e in maniera non omogenea in tutte le aree e Paesi stiamo uscendo dalla fase emergenziale. È giunto il momento di disegnare la nuova normalità. Quali approcci sarà opportuno adottare alla luce dell’esperienza di questa Sede, come si immagina i prossimi anni di attività?

Stiamo facendo passare l’emergenza nella testa, un po’ per sfinimento e poi perché c’è la sensazione diffusa di aver fatto quello che si poteva fare. Per la nostra attività è bello vedere come le persone abbiano una grandissima voglia di ripresa di cultura dal vivo, che in sostanza tornerà a essere più o meno come prima. La vera domanda quindi riguarda gli sviluppi della cultura digitale, il microbroadcasting degli ultimi due anni. La mia sensazione è che la padronanza tecnica diffusa delle piattaforme potrà servire come strumento di accompagnamento e soprattutto per lo sviluppo di progetti pensati direttamente per il digitale. Da un lato si deve fare tesoro del fatto che in rete si fanno dei numeri dell’online, che anche per i nostri Istituti sono strabilianti, ma al contempo la deterritorializzazione della rete ci fa un po’ mancare nel rapporto con il Paese in cui operiamo. Non credo molto invece che esploderà lo streaming  degli spettacoli dal vivo: per quello servono altri mezzi.

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