Un’intervista con Agostino Riitano, Direttore della candidatura, che ci conduce alla scoperta di questa incantevole isola del Golfo di Napoli.
Procida Capitale italiana della cultura 2022
a cura di Serena Cinquegrana
Su per le colline verso la campagna, la mia isola ha straducce solitarie chiuse fra i muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali. Ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste tra le grandi scogliere.
Così Arturo Gerace protagonista del romanzo “L’Isola di Arturo” (Premio Strega nel 1957) di Elsa Morante descrive Procida, la più piccola delle isole del Golfo di Napoli, oggi protagonista di una pagina entusiasmante della sua storia contemporanea: essere la Capitale Italiana della Cultura nel 2022. Anno che speriamo segnerà una nuova ripartenza e rinascita, dopo la difficile crisi globale che stiamo affrontando.
Di questo importante riconoscimento, con uno sguardo rivolto al futuro, parliamo con Agostino Riitano, Direttore della candidatura di Procida Capitale Italiana della Cultura 2022.
Partiamo dal presentare un luogo così magico e non ancora universalmente conosciuto: come descriveresti l’isola di Procida a chi non l’ha ancora mai visitata? Immaginando un ritorno della tradizione dei Grand Tour dello scorso secolo, per quale motivo andrebbe assolutamente inserita come tappa di un viaggio in Italia?
L’isola incarna alla perfezione l’idea di una realtà autentica della cultura mediterranea. Procida è profondamente differente dalle altre isole del Golfo: la sua economia è stata sempre fondata sul mare, molti dei procidani sono marittimi e – rispetto a Capri e Ischia – l’industria turistica di massa qui non è ancora arrivata. Procida non si accende di estate per spegnersi d’inverno: la sua densità abitativa, la sua identità e le sue tradizioni la rendono viva per tutto l’anno. La bellezza paesaggistica è rilevante e del resto lo hanno esaltato capolavori della letteratura e del cinema, ma è il patrimonio immateriale, a ben vedere, il vero valore aggiunto dell’isola, il motivo per il quale Procida andrebbe assolutamente inserita come tappa di un viaggio. Qui, su un humus così fertile, genereremo una contaminazione sostenibile tra la comunità procidana e i visitatori, assurgendo a modello esemplare per le altre piccole isole d’Italia, di cui Procida è e sarà un simbolo, e per i comuni delle aree interne del Paese, con i quali abbiamo da tempo instaurato un dialogo, confluito in una cooperazione efficace ed entusiasmante.
La nomina di Procida come Capitale italiana della cultura 2022 ha destato davvero moltissimo entusiasmo in Italia. L’idea di aprire una sana competizione tra territori nella progettazione culturale sta dunque funzionando? Cosa ti ha più sorpreso nel raggiungimento di questo risultato?
Abbiamo sempre creduto nella possibilità di diventare Capitale italiana della cultura. Non posso dirmi quindi sorpreso in senso stretto. Credo che la commissione abbia compreso che il progetto di Procida incorpora un cambio del paradigma della cultura nel nostro paese: non solo città d’arte e grandi attrattori culturali ma anche e soprattutto lo straordinario patrimonio culturale diffuso nei piccoli centri. Siamo convinti che il concetto di “minore” non sia sinonimo di piccolo e marginale, ma contenga spesso il seme di una profezia e del cambiamento. In questo la nostra vittoria incarna un cambio di rotta delle politiche culturali del Paese: la ripartenza del mondo culturale deve essere policentrica, diffusa, partendo proprio da quelle dimensioni culturali in grado di garantire anche una prossimità, tra l’universo culturale e la cittadinanza, tra la cittadinanza e l’ospite. Quanto alla sana competizione tra territori nella progettazione, che nel nostro caso si è tradotta in un dialogo proficuo con le altre nove finaliste, dimostra senza ombre di dubbio la bontà della decisione del Ministro Franceschini di avviare l’iniziativa della Capitale Italiana della Cultura, già dal 2014: idea non a caso mutuata anche dal Ministero della Cultura francese, che quest’anno ha per la prima volta nominato la sua capitale della cultura.
“La cultura non isola” è lo slogan che avete coniato, tra l’altro tradotto in moltissime lingue, un bel segno di apertura verso tutto il mondo. Come è nato il concept e in cosa si tradurrà in termini di programmazione?
Abbiamo individuato il nostro slogan prima dell’avvento della pandemia. Oggi si è rivelato quanto mai attuale, ma noi eravamo già profondamente convinti – prima che il Covid 19 stravolgesse le nostre vite – che la cultura sia soprattutto una questione di legami e di cura. Tradotto in più di venticinque lingue differenti grazie alla collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. “La cultura non isola” è poi diventata una speranza collettiva, quella della ripartenza del mondo culturale dopo le lunghe chiusure: noi cercheremo, con Procida 2022, di essere un simbolo della grande forza collettiva in grado di far ripartire l’ecosistema culturale del Paese. E oggi la “cultura non isola” è un claim ancor più forte perché per noi l’isola è metafora della condizione dell’uomo contemporaneo: siamo tutti delle isole, generiamo piccoli arcipelaghi e la cultura deve essere la malta che li tiene insieme, ancor di più dopo gli effetti della pandemia.
Quanto al nostro progetto, punta molto sulle opportunità da offrire a quelli che l’Agenda 2030 (il documento adottato dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite) definisce “agenti critici del cambiamento”: bambini, giovani donne e uomini. Trasformeremo l’isola in un laboratorio di felicità sociale, con programmi culturali educativi e inclusivi. Un secondo asset riguarda le imprese culturali e creative, il cui sviluppo sostenibile – fondamentale per un cambiamento ecologico del Paese – è fondamentale. Innovazione sociale e rigenerazione urbana, in linea con il “Piano Sud 2030, sviluppo e coesione per l’Italia”, elaborato dal nostro governo, faranno di Procida un laboratorio di transizione ecologica per una nuova idea di Mezzogiorno, connesso e inclusivo.
Condivisione, inclusione, unione sono elementi che ricorrono nella vostra presentazione e forse oggi sono imprescindibili per lo sviluppo di un progetto culturale di così ampia portata. Il percorso che ha condotto l’isola alla candidatura ha previsto un processo di co-creazione condiviso con molte istituzioni ma anche con i cittadini procidani. Come è andato questo dialogo con la comunità? Che valore aggiunto rappresentano questi elementi per l’esperienza di un visitatore?
Condivisione, inclusione, unione sono elementi assolutamente imprescindibili. Il nostro approccio metodologico è stato partire dal coinvolgimento diretto dei cittadini, con un’azione che non a caso abbiamo definito “Procida Immagina”: un percorso di capacity building, di creazione collettiva. Abbiamo suddiviso i cittadini isolani, e non solo, in tavoli di lavoro: i loro desideri e le loro necessità sono stati tradotti negli assi strategici del nostro lavoro. Così il nostro dossier è nato come un progetto sartoriale, cucito sulle caratteristiche della comunità procidana. Il dialogo con l’isola è stato parte del processo di candidatura: una dialettica naturale che ci ha portato, per esempio, a puntare molto sull’inclusione. Del resto Procida, prima tra le piccole isole d’Italia, ha avviato – dal 2018 – il progetto di uno Sprar (sistema di protezione per rifugiati o richiedenti asilo, oggi Siproimi), con giovani donne, spesso madri, perfettamente integrate nel tessuto sociale del territorio: questa è un’isola naturalmente votata all’accoglienza. Per un visitatore interessato a un’esperienza, non limitandosi dunque ad apprezzare le pur notevoli bellezze architettoniche e naturalistiche dell’isola, questi sono elementi che non possono sfuggire.
Non solo eventi culturali, ma anche paesaggio, tradizioni, enogastronomia. Cosa dobbiamo aspettarci dal programma di Procida capitale italiana della cultura 2022? Cosa va assolutamente messo in agenda?
Paesaggio, tradizioni ed enogastronomia sono già oggi parte integrante della carta d’identità dell’isola. Un paesaggio straordinario e rappresentativo del Mediterraneo, con le sue architetture e con la morfologia vulcanica dell’isola, con gli orti e i limoneti, le spiagge e i porti turistici. Tradizioni culturali ultrasecolari come la Processioni dei Misteri, il Venerdì Santo o la Sagra del Mare. E l’enogastronomia, che orbita intorno a piatti semplici della tradizione marinara e a chilometro zero: la pesca, qui, è un rito antico che si traduce nelle pietanze dell’isola.
A fine estate ufficializzeremo il programma culturale, che si ramifica in 44 progetti e più di 300 giorni di programmazione e che sarà ampio e trasversale, non si focalizzerà sui generi culturali e punterà su cinque verbi: inventare, ispirare, includere, innovare e imparare. Avremo una dimensione locale, una nazionale e una internazionale: non faremo di Procida una Disneyland degli eventi. Si potrà venire sull’isola in ogni momento dell’anno: la peculiarità del nostro programma – che accoglierà grandi mostre di arte contemporanea, festival, performance ma soprattutto processi culturali in divenire – sarà proprio quella di snodarsi nell’intero arco del 2022, con l’opportunità di scoprire luci e colori che variano di stagione in stagione. Ognuno di noi potrà acquisire, per il 2022, una piccola residenza temporanea.
Quel che più conta è che proteggeremo l’isola dall’over tourism, ci convince un turismo rigorosamente lento, responsabile, ecologico, “meridiano” – per usare una fortunata definizione del compianto Franco Cassano – che possa includere la vicina Ischia e i Campi Flegrei.
Uno dei luoghi cardine del nostro programma sarà senz’altro Palazzo d’Avalos, già palazzo rinascimentale e poi carcere, fino al 1988. Ecco, noi trasformeremo il simbolo della detenzione in un luogo di produzione culturale: lì dove si è recluso noi cercheremo di includere e lo faremo attraverso i linguaggi dell’arte; tanti spazi torneranno ad essere parte integrante della comunità, come ad esempio il tenimento agricolo del Palazzo d’Avalos, dove i carcerati curavano gli orti e allevavano mucche e maiali, diventerà un parco urbano ad alta accessibilità.
Per approfondire e seguire questa entusiasmante avventura nel segno della ripartenza culturale, visitate il sito procida2022.com