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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura de Il Cairo
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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura de Il Cairo

Categorie: Cultura e creatività

Intervista con il Direttore dell’Istituto in Egitto: Davide Scalmani.

Davide-Scalmani
Davide-Scalmani

A cura di Basilio Toth

La nostra rubrica Riflettori su continua con l’Istituto Italiano di Cultura de Il Cairo e il suo Direttore.


Nato a Milano  nel 1963, Davide Scalmani,  Dottore in Storia Moderna all’Università degli Studi di Milano, si è specializzato in Didattica dell’italiano come lingua straniera presso La Sapienza Università di Roma e in Metodologia della valutazione all’Università degli Studi Roma Tre. Negli ultimi vent’anni ha lavorato nel settore della promozione culturale per il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con vari incarichi a Seoul, Boston, Città del Messico, Vilnius, Madrid, Belgrado e attualmente a Il Cairo. Membro EUNIC, ora è presidente del Cluster EUNIC Egitto.  Ha insegnato lingua e letteratura italiana presso la Sogang University di Seoul, University of Massachusetts di Boston, e traduttologia presso l’Universidad Complutense di Madrid. Ha lavorato come consulente e traduttore per case editrici in Italia. Tra i suoi interessi principali vi sono la storia delle idee e la traduttologia. Tra le pubblicazioni: “Historia de Italia”, Silex ed. Madrid, 2016; “Nazione e nazionalismo”, Bruno Mondadori, Milano, 2000; “Guida allo studio della storia”, Paravia, Milano, 2000; “Storia società lavoro”, Archimede edizioni, Milano 1999.

Può tracciare, per le lettrici e i lettori di italiana, un ritratto dell’Istituto Italiano di Cultura da lei diretto e della sua storia?

L’Istituto a Il Cairo ha la sua sede nello storico e prestigioso quartiere di Zamalek,  un posto molto speciale. Zamalek si trova su un’isola (Gezira) sul Nilo, dove, tra splendidi giardini, sorgeva il Palazzo dei Khedivé d’Egitto. Quando la famiglia reale decise di avviare la vendita dei primi lotti, nel periodo fra le due guerre, essi furono acquistati da molti stranieri, in particolare della comunità britannica. Proprio su uno di quei terreni ha sede l’Istituto, in una elegante villa che era stata sede dell’Ambasciata della Polonia. Abbandonata per le vicissitudini della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra, negli anni ’50 fu acquistata dallo Stato italiano e nel ‘59 vi fu inaugurato l’Istituto Italiano di Cultura alla presenza dell’allora Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Amintore Fanfani ricevuto da Nasser.
La creazione dell’IIC al Cairo risponde alle esigenze di politica culturale in anni in cui si godevano i primi frutti del miracolo economico italiano. Ebbe grandi Direttori, a partire dal primo, l’arabista e islamista Umberto Rizzitano, nato ad Alessandria d’Egitto, che svolse nei primi anni dell’Istituto un ruolo importantissimo. Rizzitano, professore ordinario di Lingua e letteratura araba all’Università di Palermo, apparteneva alla scuola del celebre Carlo Alfonso Nallino (che fu chiamato da Re Fuad per insegnare l’arabo e contribuire al lancio dell’Università del Cairo). Fin dall’inizio l’attività principale dell’Istituto fu di costruire un ponte culturale con l’Egitto e la cultura araba, ad esempio curando le traduzioni di testi della letteratura egiziana dall’arabo all’italiano. Negli anni ’60 si organizzano le prime importanti mostre e negli anni ’80 – ’90 viene impostato quel dialogo culturale che vediamo svilupparsi fino ad oggi. Devo inoltre ricordare l’Egittologa Carla Maria Burri che diresse per anni l’Istituto, fu grande protagonista delle relazioni culturali bilaterali. Burri valorizzò la specificità del Cairo come sede dell’unico Centro Archeologico italiano all’estero. Del resto furono italiani anche alcuni dei pionieri agli inizi dell’avventura dell’ Archeologia e dell’Egittologia. Oggi noi come Istituto ci sentiamo continuatori di questa alta presenza culturale italiana.


Come racconterebbe la città e la sua scena culturale. Quali sono i più importanti rapporti di collaborazione che l’Istituto intrattiene con istituzioni ed operatori culturali?

Il Cairo è città difficile da definire. È sicuramente una megalopoli con i suoi più di 20 milioni di abitanti. Poi è anche sempre in continua trasformazione e in particolare in questi ultimi anni. Il Cairo fa un po’ da faro della cultura nel Medio Oriente e nel Nord Africa non solo all’interno del mondo arabo ma anche come mediatore fra culture diverse, fra Oriente ed Occidente. Nel suo destino geo-politico e geo-storico esprime una vocazione al ruolo di guida. Qui sono le prime grandi scuole islamiche in Egitto sono del VII-VIII secolo e poi al seguito di una lunga evoluzione diviene il centro propulsore della cultura arabo-egiziana. Questa quindi è una scena culturale forte, affascinante e complessa. Pensiamo ad esempio alla stessa modernizzazione del Paese. Fin dall’800 con l’inizio del Khedivato, la cultura ha condotto l’Egitto nella modernità. Anche il mondo occidentale è arrivato al Cairo in primo luogo tramite la cultura per essere rielaborato. L’Egitto diventa subito leader nella cinematografia e nella produzione audiovisiva. Le serie televisive egiziane sono seguitissime e l’arabo egiziano è la lingua della koinè televisiva araba. Poi abbiamo la musica.  Dall’Egitto storicamente si irradia la musica occidentale nella regione. In tutto ciò l’Italia ha un ruolo fondamentale. Possiamo fare l’esempio del Canale di Suez. Musica nella metà dell’800 vuol dire soprattutto opera lirica quindi lingua e musica italiana. Quindi si affida a un italiano, Giuseppe Verdi, di curare un’opera, che sarà l’Aida, dedicata all’impresa della costruzione del Canale di Suez. Le scenografie dovevano arrivare da Parigi ma siamo nel 1869 e ci sarà la guerra franco-prussiana. Per l’inaugurazione si farà il Rigoletto. Ma l’Aida è solo posticipata, avrà la sua prima rappresentazione a Il Cairo, nel 1871: quest’anno sono 150 anni da quello storico evento (24 dicembre 1871).


In un contesto caratterizzato dalla promozione integrata dove tutte le componenti del “Sistema Italia” – cultura, economia, scienza e innovazione – contribuiscono e mirano al successo complessivo e specifico di una proposta ambiziosa nelle sue diverse sfaccettature, quali sono le migliori esperienze di questa Sede?

Posto che ci troviamo ancora in un periodo particolare, in cui esistono ancora restrizioni quali ad esempio la quarantena che rendono difficile per diversi interlocutori raggiungerci dall’Italia, diversi eventi hanno ripreso a svolgersi, come i concerti all’aperto.
Si pensa quindi a un autunno con un graduale ritorno della normalità. Qui la percentuale di vaccinati resta bassa ma abbiamo ugualmente tenuto eventi. È andata molto bene ad esempio la nostra partecipazione al Cairo International Film Festival con la rassegna dedicata a Fellini – considerato il maestro di un’intera generazione di egiziani – con il recupero di film e di filmati nuovi e la mostra di fotografia di Cattarinich, il fotografo di Fellini. La rassegna si è tenuta alla Opera House del Cairo dove in tempo record sono state allestite diverse sale teatro all’aperto: ha avuto migliaia di visitatori. Abbiamo anche noi organizzato una serata all’aperto, sulla terrazza dell’Istituto con proiezioni di documentari e cortometraggi. Va poi ricordato fra i grandi protagonisti il design italiano. Abbiamo creato una piattaforma di collaborazione che si chiama Cairo-Milano design e con una partecipazione a Fuorisalone e il coinvolgimento di El Beit magazine. Al Salone del mobile di Milano, nella Zona Tortona per la prima volta uno spazio è stato dedicato ai designer egiziani. Esiste da parte dei designer locali questa esigenza di essere conosciuti nel mondo e in Italia in particolare. Ma si aprono grandi prospettive anche alle imprese di design italiane. Basti pensare alle opportunità che offrono la costruzione in corso della Nuova Capitale Amministrativa (New Administrative Capital, il grande progetto pensato per una città di 6 milioni di abitanti che sposterà le attività amministrative dal Cairo) e di New El Alamein (per 3 milioni di abitanti).

Che ruolo gioca la comunicazione nel rapporto con il pubblico dell’Istituto? Quali strategie innovative approcci e modi di lavorare sono stati adottati negli ultimi tempi per mantenere e facilitare questa relazione?

Ci giochiamo quasi tutto sulla comunicazione. Il rapporto con il pubblico è fatto di comunicazione. Comunicare oggi è anche uno dei compiti più difficili che abbiamo, e diventa sempre più importante e complesso. Comunichiamo con l’offerta di servizi ed eventi, e anche con la nostra presenza sulla mappa della città, con l’immagine della nostra sede. Ma la comunicazione oggi è sempre più anche quella che facciamo online. Tutto ciò richiede professionalità sempre più definite e quindi anche più collaborazioni. La Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese sta facendo un lavoro straordinario di promozione del lavoro online. A questo si aggiungono i contributi che produciamo noi. Poi guardando i numeri si nota subito l’ampiezza del cambiamento in corso. Prima di questa accelerazione forte – dovuta anche al contesto Covid 19 – noi avevamo 8.000 “amici”, oggi sono 20.000 e la crescita continua (contando per esempio Facebook e Instagram). Ci siamo inoltre resi conto che ci stanno ormai seguendo dei gruppi speciali e che abbiamo bisogno dei loro feedback. Abbiamo adesso una “sede reale” e una “sede virtuale” e una fluidità fino a poco tempo fa inimmaginabile dei vari aspetti e attori culturali.

Sia pure gradualmente e in maniera non omogenea in tutte le aree e Paesi stiamo uscendo dalla fase emergenziale. È giunto il momento di disegnare la nuova normalità. Quali approcci sarà opportuno adottare alla luce dell’esperienza di questa Sede, come si immagina i prossimi anni di attività?

Ci sono due livelli diversi. Il livello della trasformazione generale che si intravede nel futuro e che va a toccare le culture del lavoro, il telelavoro: un processo sociale di trasformazione enorme che va a cambiare il sistema organizzativo della società. Tutto ciò ha chiaramente accelerato un processo che era già in atto prima del Covid 19. Su un livello più specifico penso che per gli enti culturali deve essere portato avanti il dialogo con i media sociali, non esiste alternativa. Penso quindi che tutta una serie di attività che si sono svolte sul web continueranno. Certo nessuno avrebbe saputo prevedere tutti gli sviluppi che sono ancora in rapida evoluzione. Penso che vi sarà una stratificazione, forse per età, con diversi mezzi sociali in coesistenza che coprono aspetti ed esigenze diverse. Noi con i corsi di lingua siamo già in questa dimensione, siamo passati a questi canali di comunicazione. Grazie anche alla flessibilità dei docenti italiani e degli alunni egiziani siamo andati online in due settimane. Stiamo organizzando la ripresa delle lezioni in presenza, ma al momento una soluzione del tipo “green pass” in Egitto,  essendo bassi i numeri dei vaccinati, sarebbe di difficile realizzazione.  Dobbiamo continuare ad analizzare e monitorare la situazione e mantenere la capacità di adattarci e di riorganizzarci. 

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