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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura di Abu Dhabi
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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura di Abu Dhabi

Categorie: Cultura e creatività -Arti Visive -Cinema e Audiovisivo -Musica e spettacolo

Intervista con la Direttrice Ida Zilio Grandi.

Ida Zilio Grandi
Ida Zilio Grandi

 

Ida Zilio Grandi insegna Lingua e letteratura araba e islamologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia e si occupa prevalentemente di letteratura araba islamica e cristiana. Tra le sue maggiori pubblicazioni, la traduzione completa del Corano (Mondadori, 2010), Il viaggio notturno e l’ascensione del Profeta nel racconto di Ibn ‘Abbas (Einaudi, 2010) e Le virtù del buon musulmano (Einaudi, 2020). Dal 2015 è membro del Consiglio per le Relazioni con l’Islam Italiano presso il Ministero dell’Interno. Dal 2019 dirige l’Istituto Italiano di Cultura di Abu Dhabi.

 

Può tracciare, per le lettrici e i lettori di italiana, un ritratto dell’Istituto Italiano di Cultura da lei diretto e della sua storia?

La nostra Sede, istituita nel 2019 ma inaugurata – viste le molte limitazioni comportate dalla pandemia – solo nel 2021, è una “villa”, come chiamano qui certe palazzine bianche e in stile vagamente coloniale, tutte nell’isola di Abu Dhabi, la parte centrale di questa città. Un edificio a tre piani che si direbbe fine Ottocento o primi Novecento ma che risale agli anni ’70.  La villa è parte di un compound che ospita anche il British Council e il Goethe-Institut e si trova a poche centinaia di metri dalla sede dell’Alliance Française. Con il Goethe condividiamo una grande terrazza che propone negli ultimi mesi il ciclo “Rooftop Cinema”, con produzioni che, in qualche modo, accomunano le due culture; per l’avvio del ciclo, ad esempio, abbiamo proiettato un recentissimo documentario su Pierpaolo Pasolini diretto da un giovane regista tedesco. L’arredamento del piano terra è funzionale all’allestimento di mostre. La prima di queste è stata Diva! sul gioiello glamour dagli anni ’50 ad oggi, in occasione dell’inaugurazione ufficiale riservata alle autorità locali – tra le quali il Ministro della Cultura Noura Al Kaabi – e internazionali; la seconda, un’installazione di Fabrizio Plessi che ha segnato l’apertura dei nostri spazi all’ampio pubblico.

Come racconterebbe la città e la sua scena culturale ? Quali sono i più importanti rapporti di collaborazione che l’Istituto intrattiene con istituzioni ed operatori culturali?

Abu Dhabi, come Dubai, l’altra grande città degli Emirati, persegue da molti anni un vasto e avveduto progetto di promozione della cultura, autoctona e internazionale, classica e contemporanea, in un’ottica di diversificazione rispetto alla attività legate al petrolio. Il che è parte tra l’altro della filosofia del “padre della patria”, Sheikh Zayed Al Nahyan, il grande promotore e realizzatore di questa piccola confederazione di Stati. Nel progetto rientrano il Louvre Abu Dhabi, inaugurato nel 2017, i grandi cantieri del Guggenheim e dello Zayed National Museum, quest’ultimo dedicato alla tradizione locale; ma anche, nel nome di una cultura della tolleranza, la Casa della Famiglia di Abramo, che ospiterà in uno stesso spazio segmentato i luoghi di culto delle tre religioni monoteistiche, insieme a un ricco programma multiculturale. E poi le altre istituzioni pubbliche: il Ministero dell’Istruzione, che sta sostenendo tra le altre cose la traduzione di testi per l’infanzia dall’italiano all’arabo; o la Cultural Foundation e Manarat al Saadiyat, entrambe sedi di mostre e laboratori di arti performative, arricchite di ampi spazi per bambini. Tra le istituzioni private, la Abu Dhabi Foundation for Music and Arts, con la quale abbiamo portato ad Abu Dhabi alcuni grandi concerti di Expo 2020 Dubai. Altre collaborazioni in città, quella con Sorbonne University, che ha ospitato poche settimane fa il concerto “multiculturale” di Tosca; con il Dipartimento di Cultura e Turismo, una collaborazione inaugurata lo scorso anno da una mostra sugli illustratori italiani e locali; o con il coordinamento del Padiglione nazionale alla Biennale di Venezia.

In un contesto in cui tutte le componenti del “Sistema Italia” contribuiscono e mirano al successo complessivo, quali sono le migliori esperienze di questa Sede?

Il fatto di aver tessuto relazioni numerose e proficue, e in tempi brevi, con le varie istituzioni a livello nazionale. A Dubai collaboriamo con l’unico cinema indipendente degli Emirati, il Cinema Akil. Invece a Sharjah, l’Emirato che è deputato a rappresentare tra gli altri la persistente vocazione culturale del Paese (i suoi 19 musei ne sono la prova), abbiamo realizzato una grande mostra su Islam, acqua e arte, grazie alla sinergia tra la Museum Authority di Sharjah e la Fondazione Torino Musei; sempre lì è stata appena inaugurata un’altra bella mostra sull’arte islamica a Venezia con il contributo della Fondazione Musei Veneziani. Ancora a Sharjah lavoriamo fin dal principio con la Book Authority che organizza la più importante Fiera del Libro dell’area MENASA. Vorrei ricordare anche la prima celebrazione della Giornata della Memoria in questo Paese, poche settimane fa, nel Crossroad of Civilizations Museum di Dubai. A parte, naturalmente, la bella e ricca collaborazione con il Commissariato italiano a EXPO 2020, un’altra esperienza davvero entusiasmante, una vera sfida per noi, è stata la serie di 8 webinar – Dialogues on Innovation. The pandemic, human civilizations and the limits of technology  realizzata in piena pandemia tra il settembre e il dicembre 2020, che ha visto protagonisti una quarantina tra intellettuali, esperti e artisti italiani, degli Emirati e degli altri Paesi del Golfo, tutti sollecitati a discutere il senso più profondo di “civiltà” e il rapporto tra esperienza della cultura e partecipazione fisica. E poi la serie ibrida, ancora in corso, “Sai chi dovresti conoscere?”, dialoghi a due o tre voci tra esponenti della cultura nel Paese, italiani e altri. Ma anche “A dinner with Dante”, una cena a tema dantesco con un’introduzione sui ricettari italiani medievali, lo scorso novembre per la Settimana della cCcina, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e un importante ristorante di Abu Dhabi. Più vicina nel tempo, la mostra fotografica di Michele Nastasi, “Arabian Trasfer”, che ha visto una partecipazione di pubblico internazionale a dir poco lusinghiera e del tutto inaspettata.

Che ruolo gioca la comunicazione nel rapporto con il pubblico dell’Istituto? 

La comunicazione gioca un ruolo enorme. Quando sono arrivata, segnalare l’esistenza dell’Istituto, tanto più pensando alla lunga pandemia in agguato, sarebbe stato impossibile senza il massimo impiego del sito istituzionale, dei canali social, ma soprattutto senza l’aiuto di agenzie di comunicazione bene introdotte tra i media locali. Però, secondo me, anche in un Paese come questo, indubbiamente all’avanguardia nell’impiego delle tecnologie, abitato solo da chi ha il telefonino perennemente in mano, non può mancare la presenza fisica e personale, il rapporto umano: il che significa, per l’IIC, esserci alle inaugurazioni e agli eventi piccoli e grandi, creare contatti diretti con i rappresentanti delle istituzioni, delle fondazioni, dei circoli, dei gruppi di connazionali, insomma coinvolgere apertamente le persone e chiedere, molto semplicemente, il loro sostegno ai nostri progetti.

 Come si immagina i prossimi anni di attività?

Li immagino sempre più intensi quanto a presenza fisica, ancora sorretti dalla comunicazione digitale, e in generale sempre più determinanti per la diffusione della nostra cultura e per la creazione di collaborazioni bilaterali, un lavoro condiviso per una crescita culturale comune.
L’Italia ha molto da offrire, e qui le aspettative nei nostri confronti sono altissime. Tutti attendiamo con ansia l’apertura ormai imminente della prima Scuola italiana internazionale, e anche l’attivazione di corsi di lingua presso l’Istituto.
Farò di tutto perché si possa concretizzare il progetto di un’Università italiana negli Emirati, simile alla Sorbonne o alla New York University di Abu Dhabi, o alla Canadian e all’American University di Dubai. In questo senso, stanno facendo da apripista i molti rapporti che abbiamo facilitato tra le istituzioni universitarie italiane e locali, e tutto questo grazie all’aiuto indispensabile di una nutrita pattuglia di ricercatori italiani presenti ovunque negli Emirati, stimatissimi e in ottima posizione accademica.  Siamo partiti bene e ora si tratta di non deludere le aspettative che abbiamo creato, facendo fronte a impegni tanto lusinghieri quanto gravosi. Il più importante, un’occasione splendida per noi e per la nostra Ambasciata, la presenza come Paese ospite d’onore alla Fiera del Libro di Sharjah, il prossimo novembre.

 

 

 

 

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