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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura di Dakar
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Riflettori su: Istituto Italiano di Cultura di Dakar

Categorie: Cultura e creatività

Intervista alla Direttrice Cristina Di Giorgio.

Cristina Di Giorgio
Cristina Di Giorgio

a cura di Basilio Toth

Inauguriamo con Cristina Di Giorgio, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Dakar, la nostra nuova rubrica Riflettori su. Un ciclo di interviste ai Direttori degli Istituti Italiani di Cultura che mostra sia gli aspetti ordinari che quelli straordinari del lavoro sul campo dell’addetto culturale all’estero.

Cristina Di Giorgio è nata a Roma. Si è laureata in Filosofia del linguaggio con Tullio De Mauro nel 1992 ed ha vissuto molti anni in Spagna come insegnante di italiano per stranieri. Dal 2003 è funzionario del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. È stata addetta presso l’Istituto di Colonia e addetta responsabile negli Istituti di Francoforte e Amburgo. Dal 2019 è Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Dakar.

Gli ultimi mesi sono stati difficili per tutti ma hanno offerto un’opportunità unica per migliorarsi e innovare. Quali innovazioni sono state introdotte dalla Sede per affrontare prima l’emergenza e poi la “nuova normalità”?  Che ruolo hanno svolto le nuove tecnologie?

Ogni esperienza ha una sua unicità e questo è particolarmente vero nel caso dell’Istituto Italiano di Cultura di Dakar. Quando sono arrivata qui era per aprire (o, in un certo senso, riaprire) l’IIC. Abbiamo subito potuto organizzare un bell’evento in presenza e immediatamente dopo è scoppiata la pandemia. Abbiamo chiuso la sede al pubblico per le misure sanitarie di contrasto al Covid, e siamo stati costretti a ripartire su una linea completamente diversa. All’inizio non avevamo nemmeno i mobili in ufficio… e siamo andati online. Ora, online, non sempre qui si può avere la copertura che si può avere ad es. in Europa. In compenso però in Senegal, come in quasi tutta l’Africa, tutti hanno il cellulare quindi siamo andati subito sui social media e questa strategia ha funzionato molto bene. Nel frattempo abbiamo aperto la biblioteca dell’Istituto e siamo riusciti a farci conoscere in piena emergenza Covid-19. Qui la pandemia è stata vista come un’emergenza sanitaria che andava ad aggiungersi ad altre emergenze sanitarie e questo ha aiutato il Paese a reagire. Nei pesi limitrofi al Senegal c’era stata, ad esempio, l’esperienza dell’Ebola: e qui hanno applicato il Protocollo Ebola anche alla pandemia da Covid-19, chiudendo subito tutto e imponendo il coprifuoco. Questo è un Paese che ha ricevuto riconoscimenti internazionali per l’efficace gestione della pandemia.

L’utenza degli IIC si aspetta sempre proposte di altissimo livello, comunque, da un Istituto Italiano di Cultura.

Dobbiamo sempre tenere presente il luogo in cui ci troviamo: la storia, la cultura di ogni Paese. Ciò porta in Senegal, rispetto ad altre esperienze, a dover rimodulare la nostra idea di promozione culturale e la nostra offerta di attività. Esiste una cultura autoctona molto forte, radicata, amata….e forse non c’è una grande curiosità per tutto quel che è europeo. La sfida in Senegal sta nello stabilire un vero dialogo: l’Istituto qui non può limitarsi a essere una semplice vetrina di tutto quel che è l’offerta culturale italiana,  deve proporre eventi culturali che entrino in dialogo con la cultura locale. Per esempio, quest’anno abbiamo il settecentenario di Dante Alighieri, che non è poi così conosciuto in Senegal, eccetto per chi ha fatto degli studi particolari. Abbiamo quindi voluto far conoscere Dante attraverso la lingua e cultura locali; in questo modo si può arrivare a risultati molto interessanti e suggestivi. Un giornalista e scrittore senegalese naturalizzato italiano, Pap Khouma, che ha iniziato a scrivere proprio in italiano,  sta curando, in collaborazione con noi, la traduzione del Primo canto della Divina Commedia in lingua wolof. A luglio presenteremo questo Progetto a Ravenna e ad ottobre a Dakar. Sette artisti senegalesi si ispireranno al Canto tradotto in wolof e produrranno opere che faranno parte di una mostra che faremo a dicembre. La prima esposizione europea del Museo delle Civiltà Nere è stata italiana, nel 2019, ed era la Collezione Farnesina, la collezione d’arte contemporanea del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Un enorme successo ha avuto la mostra “Leonardo Opera Omnia” che ha consentito a migliaia di persone di conoscere l’opera del genio italiano. In Senegal, come spesso avviene in Africa, c’é grande inventiva, e il riciclo dei materiali riveste molta importanza. Abbiamo impegnato una Onlus e una galleria d’arte locale in una collaborazione sul Progetto “Trash” e ci sarà a latere un incontro con l’ENEA: una collaborazione potenzialmente molto interessante. Importante per noi è anche il ruolo dei senegalesi di ritorno che hanno vissuto in Italia, se abbiamo riaperto è anche per loro e grazie a loro. La comunità senegalese in Italia è fra le più integrate ed è la seconda più grande in Europa, dopo quella in Francia: ci sono molti matrimoni misti e stiamo parlando già di seconda generazione. I contatti culturali sono intensi. Abbiamo già detto di Pap Khouma ma abbiamo avuto come ospite online anche l’attrice Virginia Diop (conosciuta per il suo ruolo in “Zero”), o la pallavolista della Nazionale italiana Valentina Diouf.

Può tracciare, per le lettrici e i lettori di italiana, un ritratto dell’Istituto Italiano di Cultura da lei diretto e della sua storia?

L’Istituto Italiano di Cultura in Senegal era stato aperto all’indomani dell’indipendenza del Paese ed ha operato fino alla metà degli anni Novanta. Poi, come accade per tante attività, ha avuto luogo una rimodulazione della presenza degli IIC ed è stato chiuso. Ma con il rilancio delle attività in Africa da parte del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale è stata decisa la riapertura dell’Istituto, che ha avuto luogo nel 2019 (nel 2020 con una propria sede) ed è stata accolta con grande entusiasmo.

Come racconterebbe la città e la sua scena culturale? Quali sono i più importanti rapporti di collaborazione che l’Istituto intrattiene?   

La scena culturale è vivacissima. In effetti l’evento più atteso è saltato: la Biennale d’Arte d’Africa a Dakar, Dak’Art del 2020. Ci sarà sicuramente un grande sforzo per poterla organizzare di nuovo nel 2022. Molto forti e internazionalmente noti  sono la cultura musicale, l’arte visiva e la danza. Esistono realtà in Senegal di altissimo livello come l’École des Sables che per la danza moderna è un’eccellenza mondiale, la sua fondatrice Germaine Acogny ha vinto un Leone d’Oro alla Biennale di Venezia. Esiste poi il Famoso Festival Jazz di Saint Louis, splendida città-isola e patrimonio Mondiale UNESCO, capitale francese dell’epoca coloniale. Da quest’anno l’IIC farà inoltre parte del circuito artistico di Dakar Partcours.

Sarà anche stato necessario in qualche caso cancellare eventi per la pandemia. Nella prossima programmazione ci sono iniziative particolari rispetto alle quali vorrebbe anticiparci qualcosa?

E’ in corso una collaborazione tra il Museo delle Civiltà Nere ed il Museo delle Civiltà di Roma che hanno firmato una Dichiarazione d’Intenti. Molto importante poi il progetto della Cineteca: due italiani residenti a Dakar hanno  rinvenuto del materiale cinematografico  non archiviato in un palazzo a Dakar. Sono pellicole molto interessanti, anche d’epoca, la cui messa in sicurezza e protezione è impegnativa perché molte sono danneggiate. A questo ritrovamento e al suo restauro, si sono interessate sia la Cineteca di Toulouse che la Cineteca di Bologna (per il restauro). Il progetto è stato stato accolto molto bene dalla Direzione del Cinema del Ministero Senegalese competente, con l’idea, appunto, di far nascere una Cineteca. Eppoi la già ricordata traduzione del Primo Canto della  Divina Commedia in  Wolof che sarà alla base anche di un’esposizione d’arte e di un laboratorio teatrale.

Per approfondire visita il sito iicdakar.esteri.it

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