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(Ri)pubblicare Grazia Deledda. Intervista a Gerardo Masuccio
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(Ri)pubblicare Grazia Deledda. Intervista a Gerardo Masuccio

Categorie: Cultura e creatività -Cinema e Audiovisivo -Editoria e Letteratura

Il nuovo progetto editoriale dedicato alla scrittrice sarda.

a cura di Laura Pugno

Consulente di poesia per le edizioni Bompiani e poeta in proprio, Gerardo Masuccio (Battipaglia, 1991) è tra i giovani fondatori di una nuova casa editrice, Utopia editore, che ha iniziato la ripubblicazione delle opere più preziose e introvabili di Grazia Deledda, unica scrittrice italiana a vincere il Premio Nobel, con la scelta e l’introduzione della scrittrice sarda Michela Murgia, protagonista di “Quasi Grazia”, la pièce di Marcello Fois dedicata a Deledda che italiana offre su Vimeo in italiano e con i sottotitoli in inglese.

Come siete arrivati alla decisione editoriale di ripubblicare l’opera di Grazia Deledda, e che riscontri avete ricevuto, sia dal sistema dal libro italiano che in una prospettiva internazionale?

Per molti anni, entrando nelle librerie, ho sempre controllato se nello scaffale della letteratura, alla lettera D, fossero esposti i titoli di Grazia Deledda, un’autrice che ho sempre letto e apprezzato moltissimo. Quasi mai mi capitava di imbattermi in un suo titolo che non fosse “Canne al vento”. E quasi mai le edizioni dei suoi romanzi, costrette a una vita clandestina nella grande distribuzione, mi sono sembrate all’altezza del suo nome. Quando Utopia è nata, mi è parso che l’idea di selezionare solo letteratura alta si conciliasse alla perfezione con il recupero dei titoli di Deledda. Non più in edizione tascabile, con copertine novecentesche, ma in una collana di libri raffinati che parlasse con freschezza ai più giovani. Michela Murgia, con enorme generosità, ha accettato di scegliere e introdurre di volta in volta i libri. La stampa e i lettori stanno reagendo con entusiasmo, un riscontro che spinge Utopia a continuare con fermezza in questo progetto.

Che cosa spinge un gruppo di giovani imprenditori non ancora trentenni a fondare una nuova casa editrice e quale è la linea editoriale di Utopia? Dal vostro catalogo si nota una certa propensione alla riscoperta di classici italiani del Novecento, come Massimo Bontempelli, e non solo italiani…C’è un nuovo spazio, oggi, in Italia e all’estero, per queste voci della nostra letteratura?

Tutto nasce da una vocazione alla lettura e alla cura dei libri. E dalla consapevolezza che la mia generazione, quando si parla di letteratura e di editoria, abbia ereditato poco da quella precedente. Un’industria anacronistica e affaticata che sembra sempre a un passo dall’implosione. Penso all’editoria come a un’attività artistica e perciò Utopia è nata come una casa editrice di letteratura di qualità, con una certa coerenza poetica e grafica, che si estendesse dal recupero di grandi classici trascurati (Bontempelli, Cela, Scanziani, Undset) alla ricerca di voci dirompenti nello scenario internazionale contemporaneo (Carson, Aidt, Devi, Bracher). In questo momento, sono in traduzione opere da una quindicina di lingue, incluso il tamil, il vietnamita, il farsi e l’uzbeco. L’attenzione è tanta, in Italia e all’estero, e molti lettori avvertono un bisogno di autenticità in un contesto in cui ogni casa editrice sostiene di pubblicare un capolavoro a settimana. Io scelgo libri che, da lettore pretenzioso, mi convincono. Una decina all’anno, per non annoiare i lettori di oggi, mentre già parlo a quelli che ancora non sono nati, perché Utopia pubblica solo libri che possono esprimersi oltre il tempo, nei decenni, come solo l’arte vera può fare.

I prossimi anni saranno costellati di appuntamenti importanti per il libro italiano nel mondo, da Livre Paris alla Buchmesse di Francoforte nel 2024 in cui l’Italia sarà ospite d’onore. Che cosa può fare l’editoria italiana per arrivare preparata?

Sfidare l’ineluttabile, ossia il diffuso disinteresse per la lettura e la fragilità dell’italiano nel contesto internazionale. Se occorre rassegnarsi a certe dinamiche esogene rispetto al mondo della letteratura (come può un libro raffinato concorrere con forme di intrattenimento superficiali e semplicistiche? Come può una lingua regionale competere con l’inglese?), si possono affrontare sistematicamente le cause d’indebolimento endogene: l’iperproduzione, il conflitto d’interessi lungo la filiera del libro, l’assenza frequente di competenze internalizzate di stampo giuridico, manageriale e mercatologico, l’incapacità di attrarre talenti, l’indolenza nel percorrere rotte linguistiche di traduzione nuove, i bilanci che soffocano la cifra intellettuale anziché conciliarla con la sostenibilità. Non è semplice, mi rendo conto. Perciò Utopia si chiama così e, se fallirà, avrà fallito provandoci.

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