Per la rubrica “Le carte e la memoria”, a cura di Isabella Proia e Cecilia Ciatti, andiamo alla scoperta di un fondo archivistico proveniente dal Ministero della Cultura Popolare, conservato presso l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
In molti certamente avranno sentito parlare del Ministero della Cultura Popolare, più comunemente noto con la sigla “Minculpop”, creato da Mussolini nel 1937 e soppresso nel 1944. Ma di cosa si occupava e come era strutturato il “Minculpop”, a capo del quale vi fu Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, prima di diventare Ministro degli Esteri? Anzitutto, il Ministero della Cultura Popolare era essenzialmente un Ministero della Propaganda, sul modello del “Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda” tedesco. Inizialmente fu l’Ufficio Stampa del Capo del Governo (1925), poi trasformato in Sottosegretariato di Stato per la Stampa e la Propaganda (1934), che sotto Ciano dal 1935 divenne Ministero per la Stampa e la Propaganda, per assumere infine, dal 1937, la denominazione di Ministero della Cultura Popolare. Si scelse questo nome per eliminare il riferimento alla “propaganda”, parola sgradita al popolo, insistendo piuttosto sul concetto di “cultura”, intesa come patrimonio di idee che guida un popolo, e che in questo caso era il risultato che si tentava di raggiungere: la “cultura fascista”. Di fatto però questa organizzazione si occupava della censura e della propaganda, in vari ambiti: stampa, trasmissioni radiofoniche, turismo, spettacoli teatrali, cinema e discografia.
La struttura interna di questo Ministero comprendeva sei Direzioni Generali (Stampa Italiana, Stampa Estera, Propaganda, Cinematografia, Turismo, Spettacolo) oltre all’Ispettorato per le Radiodiffusioni. La Direzione Generale Stampa Estera (DGSE) del Ministero della Cultura Popolare era a sua volta articolata in tre divisioni: la prima era competente in materia di Uffici Stampa all’estero, Affari Generali, Personale e Cerimoniale; la seconda si occupava della stampa estera in Italia, ossia il controllo e la censura dei giornalisti stranieri operanti in Italia; la terza, infine, della diffusione della stampa italiana all’estero, e dello spoglio e delle segnalazioni di stampa estera. I mezzi attraverso i quali la DG svolgeva la sua azione all’estero erano essenzialmente l’agenzia giornalistica “Stefani” e il servizio stampa svolto dai quattordici Addetti Stampa delle rappresentanze diplomatiche italiane.
Quando il Ministero della Cultura Popolare fu soppresso nel 1944, il suo archivio fu spezzato in diversi tronconi: una parte dell’Archivio fu versata alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Servizi Stampa, Spettacolo e Turismo; l’archivio della Direzione Generale Stampa Estera finì al Ministero degli Affari Esteri, perché concernente i rapporti con l’estero, ma anche perché la DGSE aveva ereditato a suo tempo una parte dell’archivio dell’Ufficio Stampa del MAE; il resto del materiale invece confluì nell’Archivio Centrale dello Stato.
L’archivio della Direzione Generale Stampa Estera del Minculpop è dunque conservato presso il MAECI, e qui può essere consultato dagli studiosi. È da poco disponibile, sul sito dell’Archivio Storico Diplomatico della Farnesina, un ulteriore strumento per la consultazione di questo fondo: uno studio sulla Direzione Generale Stampa Estera del Minculpop ad opera di Claudio Maria Mancini, che esamina in maniera esaustiva l’intero fondo archivistico della DGSE, offrendo un inventario analitico ed una descrizione dettagliata del contenuto delle 977 buste che lo compongono, con la possibilità di realizzare ricerche per parole chiave all’interno del vasto repertorio. L’opera è inoltre corredata da un’introduzione che ricostruisce la storia e la struttura della Direzione Generale Stampa Estera in particolare, e del Minculpop in generale. Si tratta di uno strumento straordinariamente utile per gli studiosi, in particolare per coloro che si trovano impossibilitati a raggiungere fisicamente la Farnesina per consultare i documenti dell’Archivio Storico Diplomatico . Lo studio può essere consultato liberamente a questo link.