Lo scorso 29 febbraio si è aperta a Tripoli, nella suggestiva cornice della Città Vecchia, all’interno dello storico edificio dell’Eskender Art House, la mostra “Arte come identità”, promossa dall’Ambasciata d’Italia, in collaborazione con la Municipalità di Tripoli. Curata dallo storico dell’arte italiano Ludovico Pratesi la mostra, inaugurata a Bengasi lo scorso mese di ottobre in occasione della Giornata del Contemporaneo, mette a confronto le ricerche di 3 artiste – un’italiana, una italo-libica e una libica – legate all’idea dell’arte come veicolo identitario ed espressione di un processo di riflessione sulla riattivazione del Genius Loci attraverso il linguaggio artistico. La mostra sarà aperta al pubblico fino al prossimo 20 marzo.
Un dialogo tra diversi punti di vista su un territorio come la Libia, attraverso gli sguardi di un’artista che vive e lavora a Bengasi come Shefa Salem, a confronto con il lavoro di Adelita Husni-Bey, italo-libica, e con la ricerca dell’italiana Elena Mazzi, attenta all’analisi dei rapporti tra l’essere umano e il suo contesto socio-antropologico.
All’interno di un contesto complesso come la Libia del Ventunesimo Secolo, la mostra si configura come un’occasione per testimoniare la capacità delle artiste di cogliere in maniera più profonda e incisiva i cambiamenti in atto sulla scena artistica internazionale. Attraverso l’utilizzo di linguaggi e forme espressive diverse, le artiste invitate propongono modalità e strategie di riappropriazione della propria identità, elementi che il pubblico ha avuto modo di approfondire in occasione della conferenza di Ludovico Pratesi “Arte come Identità. Le ragioni di una mostra”, svoltasi il 2 marzo presso l’Auditorium del Museo Archeologico di Tripoli, in collaborazione con il Dipartimento di Antichità della Libia.
Ad ogni artista è stato chiesto di presentare tre opere in risposta alla domanda: “In che modo l’arte definisce la tua identità?”.
Shefa Salem ha utilizzato la tecnica pittorica tradizionale per rileggere i momenti cruciali della storia libica arcaica, attraverso tele di grandi dimensioni caratterizzate da uno stile iperrealista, con innesti di elementi contemporanei (volti, abiti, gesti) all’interno di scene dove la mitologia assume una dimensione simbolica e identitaria.
L’approccio sociologico di Adelita Husni-Bey nei confronti della sua città natale- Bengasi-, ha portato l’artista a presentare in questa occasione alcune immagini inedite, tratte da una delle sue prime serie fotografiche. Opere che documentano interessanti dettagli del paesaggio, dove compaiono elementi diversi, dalle rovine classiche a quelle contemporanee, oltre ad uno scatto dedicato ad un giovane lavoratore e un cartellone pubblicitario pan-africano.
La ricerca di Elena Mazzi è incentrata sull’analisi e l’esame di territori specifici, per rileggere le condizioni del patrimonio culturale e naturale dei luoghi stessi, al fine di ricucire problematiche legate al conflitto tra l’uomo, la natura e la cultura, nell’era dell’antropocene, attraverso le sue opere. Con un approccio vicino all’antropologia, l’artista ha intrecciato storie, fatti e fantasie, trasmesse dalle comunità locali, per elaborare soluzioni e strategie visive in grado di ricucire fratture e traumi in atto nelle società che la interessano.