Cosa l’ha spinta ad approfondire questo tema così originale delle percezioni dell’Italia da parte dei viaggiatori finlandesi dell’Ottocento?
Come docente universitaria di lingua e cultura italiana, mi sono sempre piaciuti i temi di interesse culturale e gli approfondimenti dei contatti tra la mia cultura e quella italiana. La mia ricerca su questo specifico tema è iniziata con la partecipazione a un progetto internazionale promosso dal “CIRVI” (Centro Interuniversitario di Ricerche sul Viaggio in Italia) nel 2018, che si avvale di circa 30 ricercatori da una ventina di Paesi, con l’obiettivo di creare una documentazione “a tutto tondo” relativa ai viaggiatori che sono andati in Italia nel XIX secolo. Nella seconda metà dell’Ottocento è aumentato il numero dei viaggiatori finlandesi diretti verso il Sud dell’Europa, e quindi anche le fonti da analizzare per il nostro progetto sono più numerose.
Ci racconta gli aneddoti di viaggio che trova più interessanti e divertenti?
Forse i Finlandesi non sono considerati un popolo “divertente”, ma sicuramente anche i nostri viaggiatori di un secolo e mezzo fa hanno visto e/o vissuto esperienze interessanti: per esempio, apprezzano l’abitudine degli Italiani di bere spesso un buon bicchiere di vino (a cui non dicono di no neanche le donne, persino quando allattano i loro pargoli!), ma notano che “non si ubriacano”, o meglio, non si presentano in pubblico in stato di ebbrezza. Inoltre, molto spesso tributano lodi sperticate all’apparenza fisica delle donne e degli uomini che incontrano, ma in genere, passando dal Nord al Sud, questi encomi calano di grado… Alcuni viaggiatori ritengono che molti Italiani abbiano una istruzione scarsa (o scarsissima), ma è proprio il contatto con i tanti stranieri che percorrono la Penisola a dar loro la possibilità di compensare queste carenze, e addirittura di migliorare il loro comportamento sociale.
Il viaggio è lo strumento più diretto per conoscere nuove realtà e sfatare falsi stereotipi. Crede che gli Istituti Italiani di Cultura aiutino le persone a conoscere in maniera più autentica il nostro Paese?
Sicuramente: io stessa mi occupo di questi temi dal punto di vista dell’imagologia, che si concentra sulle questioni dell’immagine (di sé e degli altri) e dello stereotipo. Gli IIC sono innanzitutto dei centri di promozione della cultura italiana all’estero e realizzano diversi eventi – conferenze, mostre, concerti – anche per offrire a persone che ancora non conoscono l’Italia una possibilità piacevole e divertente di apprezzarne vari aspetti culturali, a volte sfatando stereotipi e spingendole verso un’esperienza diretta.
In questi giorni si celebra la Settimana della Lingua Italiana nel mondo. Da straniera, cosa l’ha spinta ad appassionarsi della nostra lingua e cultura?
Ho cominciato a studiare l’italiano al liceo, perché le lingue mi affascinavano in generale e trovavo la lingua italiana particolarmente bella e melodiosa (anche questo è uno stereotipo?). Procedendo poi nei miei studi, anche grazie alle possibilità di scambi studenteschi, ho imparato a conoscere “dal vivo” diversi elementi della cultura italiana. Ho poi scelto di approfondire conoscenze linguistiche e culturali frequentando un corso di laurea in Italianistica. Dopo la laurea, ho iniziato a lavorare nell’Università di Turku , contribuendo alla promozione della lingua e della cultura italiana con il mio lavoro di docente.