Giovedì 12 gennaio è stata inaugurata al Moore Institute dell’Università di Galway la mostra “Irish in Italy” curata da Antonio Bibbò con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Dublino e il patrocinio dell’Università di Trento.
La mostra giunge a Dublino dopo essere stata esposta nel 2016 alla Biblioteca Nazionale di Roma a cura dell’Ambasciata Irlandese in occasione del centenario dell’Easter Rising – l’insurrezione irlandese del 1916 – e a Cork, presso la Boole Library dell’Università UCC nel 2019.
“Irish in Italy” cerca di offrire un quadro del complesso rapporto tra l’Italia e l’Irlanda nella prima metà del Novecento e del progressivo emergere dell’Irlanda come entità autonoma, sia culturalmente che politicamente, nella coscienza pubblica italiana.
L’“irlandesità” di scrittori come Stoker, Wilde e Shaw passava generalmente inosservata, mentre Joyce, che trascorse a Trieste una parte consistente della sua vita, era considerato uno scrittore cosmopolita. Ma grazie a una serie di appassionati studiosi e traduttori, il pubblico italiano ha acquisito consapevolezza delle complessità della letteratura irlandese e ha iniziato a percepirla come un’entità separata all’interno del sistema delle letterature di espressione inglese.
L’esposizione propone diversi documenti importanti come rare prime edizioni di opere letterarie irlandesi in italiano e le lettere di importanti intellettuali fra i quali Pavese, Montale, Yeats, Bragaglia e Linati. Quest’ultimo fece conoscere all’Italia i drammaturghi dell’Abbey Theatre, rilanciò la traduzione di Sterne di Ugo Foscolo e fondò la rivista letteraria che ebbe un ruolo cruciale nella diffusione della letteratura irlandese negli anni Venti. Mentre durante la seconda guerra mondiale Anton Giulio Bragaglia, direttore del Teatro delle Arti di Roma, ideò lo stratagemma di far “diventare” irlandesi alcuni drammaturghi di lingua inglese in modo da aggirare la censura fascista.