L’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado, in collaborazione con Drina Gallery, presenta la mostra “Vittorio Bianchi: Woven Memory”, a cura di Nataša Radojević e Domenico de Chirico, in mostra fino al 28 agosto nelle sale dell’Istituto.
L’artista Vittorio Bianchi agisce nella dimensione spaziale della superficie del tessuto, suo medium artistico privilegiato. Nel farlo, ne oltrepassa i limiti attraverso un’azione gestuale di raschiamento che aggredisce la materia, in un modo che ne sconvolge la struttura senza tradirla: non un atto di rottura infatti, ma di rivelazione, volto ad assecondare l’urgenza dello strato sottostante di irrompere sulla superficie dalla profondità che lo trattiene. L’artista indaga gli spazi della memoria dormienti che scorrono dentro le fibre, rianimandoli nel sollievo di un respiro che torna a riappropriarsi del suo legittimo intervallo. Il suo è un gesto sordo in cui echeggiano i fraseggi intessuti nella storia muta della materia. La superficie si fa pelle sensibile, accarezzata dall’irruenza rivelatrice dell’azione che ne espone i filamenti, quasi fossero la nervatura dell’anatomia dell’eterno flusso della storia. Così facendo, ripristina una tregua nella contrapposizione tra tradizione e innovazione, una calma che invita a una delicata riconciliazione nel rapporto di interdipendenza tra la persistenza di un’identità culturale collettiva e quella dell’ordito che l’ha generata.
Il lavoro dell’artista italiano Vittorio Bianchi, classe 1982, ruota principalmente intorno a un elemento che si presenta manifestamente come bipartito, più propriamente definibile come un gesto inventivo e autentico che, a sua volta, si esteriorizza, in maniera dogmatica, talvolta attraverso meticolose lacerazioni talaltra mediante veementi squarci. Per di più, la bidimensionalità dei materiali, utilizzati da Bianchi, viene pedissequamente messa in discussione da interventi che creano assenze e, dunque, aprono varchi verso altre possibili e imperiture dimensioni, sottolineandone, in concomitanza, sia la fragilità sia il massimalismo. I tessuti utilizzati dall’artista per la realizzazione delle sue opere, infatti, sono il risultato di una ricerca solerte e mirata, che spazia dalla seta taiwanese al lampasso italiano, passando per texture monocromatiche e stampe elaborate, pur non escludendo, in ultima istanza, tessuti tecnologici dalle fattezze futuristiche. Inoppugnabilmente, la sua ricerca artistica fa della multiculturalità il suo cardine, laddove risulta essere strettamente connessa con la storicità dei materiali utilizzati e la cui lavorazione ne sottolinea con magniloquenza l’eco del tempo.
E’ sulla base di tali precetti che prende forma “Woven Memory”, nuovo capitolo espositivo della produzione artistica di Vittorio Bianchi, il cui ciclo di lavori celebra, in particolare, la beltà del famigerato lampasso italiano, tessuto tradizionale che rievoca i manufatti della storia dell’artigianato locale, simbolo di un’aulica tradizione dalle fattezze fortemente identitarie: da un lato, una sorta di trasposizione del Cantico delle creature, tra motivi floreali e presenze faunistiche che riconducono, senza por tempo in mezzo, alla vita, dall’altro il gesto artistico, il quale, incidendo su quest’ultima, la lacera intimamente o la squarcia fulmineamente. Inoltre, il significativo capovolgimento del lampasso si prodiga per sottolineare il vigente de miseria humanae conditionis in tutte le sue gradazioni, e, giustappunto, per dirla con San Francesco d’Assisi, in riferimento al già succitato cantico: Beati quelli che sopporteranno ciò serenamente, perché dall’Altissimo saranno premiati.