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L'Istituto italiano di Belgrado inaugura la mostra di Sara Munari
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L’Istituto italiano di Belgrado inaugura la mostra di Sara Munari

Categorie: Cultura e creatività -Arti Visive
La mostra racconta il viaggio immaginario della fotografa sul pianeta Musa 23 per ritrovare il padre, malato di Alzheimer.
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L’Istituto italiano di cultura di Belgrado presenta la mostra “Non ditelo a mia madre” di Sara Munari, curata da Simone Azzoni. La mostra, che si colloca all’interno del festival di fotografia Belgrade Photo Month, è stata inaugurata il 3 aprile presso l’Istituto e sarà visitabile fino al 27 aprile.

Il percorso espositivo racconta un viaggio impossibile compiuto dall’autrice per ritrovare il padre, malato di Alzheimer, sul pianeta Musa 23: una toccante metafora sull’incapacità di comunicare con i propri cari quando soffrono di malattie così complicate, e una riflessione sulla struggente perdita emotiva cui si va incontro. Il viaggio termina infatti con il distacco dall’extraterrestre (suo padre) che Sara dovrà lasciare sul pianeta, nel suo mondo, senza più possibilità di raggiungerlo. La scelta di questa storia così fantasiosa è un riferimento proprio alla personalità creativa e curiosa del padre, affascinato da tutto ciò che riguarda lo spazio e la possibilità dell’esistenza di altre forme di vita.

L’opera ha la forma di un vecchio archivio composto da fotografie, video e documenti artefatti che testimoniano l’avventura di Sara, un’esperienza talmente inverosimile che se la raccontasse alla madre probabilmente non le crederebbe: da qui la scelta ironica del titolo “Non ditelo a mia madre”. Il percorso si conclude con la possibilità che tutto possa essere stato un sogno e non realtà. Ma l’autrice, al suo risveglio, trova nella sua stanza fotografie che dimostrano il contrario. Un video – con alcune riprese del pianeta – dimostra che il viaggio, un viaggio, c’è stato.

Sara Munari rimette al centro del discorso il fotografo raccontando la sua storia come una messa in scena. Il suo lavoro è un progetto basato su una specifica concezione di archivio che riafferma il valore di verità e memoria, insinuando al contempo la finzione narrativa. Come spiega il curatore Simone Azzoni:

Le immagini si fanno correlativi oggettivi e l’archivio non custodisce più una storia coesa ma schegge, frammenti ad alto potenziale metonimico. Attraverso il montaggio di questi frammenti, Munari costruisce un atlante dai criteri ordinatori volutamente deboli ma potentissimo in quelli iconografici, un meta-racconto di ciò che può significare essere figlia e fotografa.

 

 

 

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