L’Istituto Italiano di Cultura di New York, in collaborazione con Paula Cooper Gallery, ha presentato la mostra “Luciano Fabro: Drawing as Space”. La mostra è stata inaugurata lo scorso 15 aprile e sarà visibile fino al prossimo 15 maggio.
Tra i più importanti e noti artisti italiani dal dopoguerra a oggi, Fabro è conosciuto per la sua approfondita e innovativa ricerca sulla scultura e sullo spazio, nonché per la sua intensa riflessione teorica e per il suo impegno come insegnante. Invece poco nota è la parallela attività su carta, che ha svolto dai primissimi anni Sessanta alla sua scomparsa nel 2007. Le esposizioni incentrate su tale produzione, infatti, sono state soltanto tre – nel 2013 al Kunst Museum di Winterthur e alla GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, nel 2014 al CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno – e sono state accompagnate da due cataloghi (anche in lingua inglese) che hanno aperto, per la prima volta, una riflessione critica su questo argomento.
La mostra all’Istituto Italiano di Cultura di New York, curata da Ilaria Bernardi e Silvia Fabro, desidera approfondire la produzione su carta dell’artista, presentando un nucleo di opere esemplificative dei suoi due principali modi di intendere il disegno: da un lato come “studio per”, ossia strettamente legato ai lavori scultorei e installativi; dall’altro come “opera in sé”, concepita appositamente per il supporto cartaceo.
Sebbene la loro genealogia sia differente, gli “studi per” e le “opere in sé” selezionate per questa esposizione hanno un comune denominatore: una riflessione sullo spazio, sia esso fisico, antropologico, o naturale, e sulla sua percezione nel rapporto tra realtà esterna e interna.
Nella prima sala della mostra sono esposte opere da intendersi come “studi per”, tra le quali: due Senza titolo del 1962 (che costituiscono una ricerca sulla percezione propedeutica alla realizzazione dei lavori successivi presentati alla prima mostra personale del 1965), nonché lo studio per Concetto spaziale, descrizione del 1967 e quello per Allestimento teatrale (concepito per il Teatro Stabile di Torino nel 1967 e realizzato nel 1975).
Accanto a questi studi legati alla dimensione concettuale e fisica dello spazio esterno a noi, sono presentati gli studi per Giudizio di Paride (1979-80) e per IO (l’uovo) (1978), i quali, assieme a un piccolo segno delineato su un post-it che potrebbe evocare uno spermatozoo o un segno primario, rinviano alla volontà dell’artista di “prolungare il proprio corpo in tutte le cose del mondo”, prendendo come riferimento misure antropiche e personali.
Connesse alla dimensione antropologica sono altresì le due opere appartenenti alla serie delle Macchie di Rorschach (1976), che simulano le macchie d’inchiostro dotate di una forma apparentemente senza senso impiegate dagli anni Venti per eseguire il cosiddetto test di Rorschach allo scopo di indagare la personalità di un individuo. Parte integrante delle Macchie di Rorschach sono i testi scritti dall’artista, intitolati Apologhi, associati agli esemplari della serie. Il testo, dattiloscritto o autografo, è fondamentale all’interno della ricerca dell’artista che lo intende in numerosi casi come un elemento di immagine al pari dei suoi interventi pittorico o disegnativi (come nelle Macchie di Rorschach), in altre occasioni come titolo “parlante”, ossia atto a integrare la visione dell’opera suggerendo all’osservatore un’idea, un’immagine o il senso stesso di ciò che sta osservando (come in molte delle opere esposte nella seconda sala della mostra).
Nella seconda sala sono esposte opere su carta concepite come “opere in sé”, per lo più evocanti lo spazio naturale. Otto elementi, analoghi a quelli utilizzati dall’artista per costruire la stanza intitolata Habitat delle erbe realizzata nel 1980 (coll. Musée Départemental d’Art Contemporain de Rochechouart), vogliono suggerire all’osservatore di immaginare le quattro pareti di quell’Habitat, dove paesaggi e cieli si dispiegano ritmicamente trasformandole idealmente in un ambiente esterno, naturale, in cui lo spazio diventa un complesso schema di reazioni vitali. Ribadisce tale concetto Tubo da mettere tra i fiori (1963), un’installazione site specific realizzata con un tubo d’acciaio telescopico “nascosto” tra un corposo gruppo di piante vere.
Altre opere su carta esposte conducono ad ulteriore sviluppo la riflessione sulla natura, facendo riferimento ad alcuni suoi elementi (Paesaggio rettangolo, 1999; Il viaggio del sole, 1993; Disegno di cielo, dal vero, 1992; Tramonto, 1995) nonché a specifiche dimensioni temporali (Segno di partenza, 1992; È proprio ora di seminare, 1994 e In principio, 2007).
Concludono la mostra due importanti lavori. Nel primo, Far di un cielo un senso (1997), Fabro, attraverso una poesia dattiloscritta (anche qui un testo è parte integrante del lavoro), oltre a evocare specifici elementi dello spazio fisico, antropologico e naturale, fa riferimento a differenti opere realizzate nel corso della sua attività artistica. Nel secondo, Disegno malato (1995), rinvia al concetto stesso di disegno, raffigurandolo come un segno ovoidale aperto e pertanto contenitore di spazio e di relazioni, “curato” amorevolmente dall’artista tramite l’apposizione di una benda, una carta da cucina ripiegata.
Opere di Fabro fanno parte delle più importanti collezioni museali degli Stati Uniti, come il San Francisco Museum of Modern Art, il New Orleans Museum of Art, l’Hessel/CCS Bard di Annandaleon Hudson (NY), il Museum of Modern Art e il Guggenheim Museum di New York, e altre importanti collezioni private. In particolare, un’importante collezione di sue opere è esposta in modo permanente al Magazzino Italian Art, a Cold Spring (NY): questa collezione comprende anche uno degli esemplari della Struttura ortogonale assoggettata ai quattro vertici a tensione (1964), i cui modelli sono esposti all’Istituto Italiano di Cultura.
La curatrice della mostra, Ilaria Bernardi, ha così commentato:
“La mostra sulle opere su carta di Fabro segna un traguardo nella promozione dello studio e valorizzazione del disegno degli artisti italiani, ormai storicizzati, operanti dagli anni Sessanta. Solo affrontando l’ardua impresa di indagare e ricostruire scientificamente la loro attività su carta, è possibile scoprire aspetti del loro pensiero finora sconosciuti e fondamentali per dare una nuova lettura all’intero loro operato”.
Silvia Fabro, curatrice della mostra, ha aggiunto:
“Lavorare sui disegni di Fabro è entrare in un territorio certamente fatto di arte, di ricerca, ma nello stesso tempo un mondo intimo, fatto anche di amicizie e legami. Sono infatti state rarissime le occasioni in cui l’artista ha deciso di mostrare pubblicamente i suoi disegni, invece molte sono state le occasioni in cui li ha donati a persone a cui era legato. Scoprire che vi erano numerosi suoi lavori su carta è stata, quindi, per molti, una scoperta recente grazie alle prime mostre organizzate una decina di anni fa. Mostre che avevano proprio lo scopo di aprire una riflessione su questo suo ambito di ricerca e evidenziarne la stretta connessione col suo più noto lavoro come scultore. Eppure, ogni nuova occasione che mi si presenta per approfondire questa sua ampia produzione, crea in me un’emozione che è difficile spiegare se non con il piacere di ritrovare in essa quell’aspetto ludico, leggero e ironico del suo carattere tradotto con una delicatezza visiva, sensoriale ed emotiva che mi commuove”.
Per maggiori info: Istituto Italiano di Cultura di New York