Un caso di spionaggio offre l’occasione per ricordare la figura di un grande diplomatico del passato, Luigi Aldrovandi Marescotti.

L’Archivio Storico Diplomatico presenta: Storia di un cifrario rubato

Per la rubrica “Le carte e la memoria”, a cura di Isabella Proia, ricostruiamo i contorni di una misteriosa vicenda ambientata nella Berlino degli anni Venti attraverso documenti conservati presso l’Archivio Storico Diplomatico della Farnesina.
Nel 1929 fu trafugato dall’Ambasciata d’Italia a Berlino, che all’epoca aveva sede al 36 di Viktoriastrasse, un cifrario che veniva usato per le comunicazioni segrete con Roma. I cifrari erano dei dizionari contenenti elenchi di parole ordinate alfabeticamente, in cui a ciascuna parola corrispondeva un gruppo di cifre arabe e viceversa, che venivano utilizzati per inviare comunicazioni criptate: solo chi possedeva la “chiave”, cioè il decifratore corrispondente, poteva interpretare correttamente il messaggio. La sparizione si era in realtà verificata un anno prima, ma non era stata portata a conoscenza dell’Ambasciatore finché non era arrivato un messaggio cifrato e non si era potuto decifrarlo. Le circostanze del furto erano inquietanti: in quel periodo l’Ambasciata era sorvegliata giorno e notte in quanto era stata oggetto di atti vandalici, ed era perciò impossibile per chiunque introdursi nell’edificio senza essere visto. Il responsabile doveva dunque essere un membro dello staff: una spia?
I giornali di vari paesi, fra cui quelli italiani, ripresero ben presto la notizia, arricchendola di dettagli sensazionalistici: secondo il “Daily Chronicle”, la responsabile sarebbe stata una misteriosa bionda o bruna, che era stata protagonista dei balli ospitati dall’Ambasciata quell’estate e che agiva come spia per conto di una potenza straniera. Ricamature romanzesche a parte, le indagini interne portarono ad individuare la responsabile del furto, una dattilografa italiana in servizio presso l’Ambasciata, che avrebbe agito in collaborazione con gli agenti segreti di un paese estero. Non solo: studiando le carte del fondo del Personale dell’Archivio Storico Diplomatico si scopre che, nello stesso periodo, dallo staff dell’Ambasciata venne licenziato anche un archivista, responsabile della fuga di informazioni riservate che erano trapelate sul caso del cifrario e su altre questioni delicate.
La sostituzione di quasi tutto il personale dell’Ambasciata venne motivata con il grave furto subito ed il conseguente scandalo. Quel che è certo è che ciò avvenne proprio in un momento in cui era particolarmente gradito poter fare posto nell’organico ministeriale ai nuovi funzionari e diplomatici entrati nel 1928 per volere diretto di Mussolini. Come notò giustamente il “Times”, l’avvicendamento di personale era in realtà in atto già da diversi mesi e, sebbene la vicenda del cifrario rubato potesse avere avuto la sua parte di responsabilità, è difficile pensare che ne fosse l’unica causa.
La sfortunata circostanza ebbe anche ripercussioni sulla carriera dell’Ambasciatore, il conte Luigi Aldrovandi Marescotti, diplomatico di lungo corso che godeva di grande stima e considerazione. Nato a Bologna da famiglia patrizia nel 1876, Aldrovandi Marescotti era entrato nella carriera consolare in seguito ad esame di concorso come applicato volontario nel 1900 ed era stato Capo di Gabinetto del Ministro Sidney Sonnino dal 1914 al 1919, al culmine di una brillante carriera. Fu segretario generale della delegazione italiana alla Conferenza della Pace di Parigi e segretario per l’Italia del Consiglio Supremo degli Alleati in Parigi. Dopo questi incarichi politici fu Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario a L’Aja, Sofia e Il Cairo. Nel 1924 fu nominato Ambasciatore. Fu Ambasciatore a Buenos Aires dal 1923 al 1926, e infine a Berlino dal 1926. Ritenuto “indirettamente responsabile” della sparizione del cifrario, fu costretto anzitempo a lasciare il posto e a tornare a disposizione del Ministero. Confermato a disposizione nel 1930, fu infine collocato a riposo nel 1931. Divenne Senatore del Regno d’Italia nel 1939. Pietro Quaroni, altro grande diplomatico (1898-1971), che lo aveva avuto come capo missione a Buenos Aires al principio della propria carriera (era infatti entrato in diplomazia nel 1920), ci ha lasciato un ritratto melanconico e toccante di Aldrovandi nel suo Ricordi di un ambasciatore (1954), dal quale emerge una personalità orgogliosa e animata da un senso rigoroso e profondo della giustizia. Condensando mirabilmente il proprio giudizio a proposito della vicenda del cifrario rubato e delle sue conseguenze, Quaroni chiosa: “avrebbe potuto essere un incidente passeggero, furono le sue qualità – o i suoi difetti a seconda del punto di vista – a renderlo definitivo. Altri al suo posto si sarebbe dato da fare, avrebbe messo in moto possibilità ed influenze politiche che non gli mancavano. Aldrovandi no, si tirò da parte e se ne rimase ad aspettare che si riconoscesse che si era avuto torto e che lo si rimandasse a chiamare. E naturalmente nessuno lo mandò a chiamare”.
E il cifrario perduto? A quanto risulta, non fu mai ritrovato.