Intervista con la lettrice Rosalia Gambatesa.
Lettori per l’italiano #2. Teheran
A cura di Margherita Marziali, Ilaria Taddeo e Annarita Guidi
La nostra rubrica “Lettori per l’italiano” continua con il lettorato di italiano all’Università Statale di Teheran.
Rosalia Gambatesa, laureata in lettere classiche all’Università degli Studi di Bari e dottore di ricerca in Langues, Littératures et Civilisations all’Università della Lorena, Membre Associé du LIS, Université de Lorainne, è docente di materie letterarie, latino e greco, esperta di didattica delle lingue e formatrice del Centro Democratico Degli Insegnanti. Dal 2020 è lettrice di italiano all’Università Statale di Teheran. I suoi più vivi interessi includono la linguistica testuale e la ricerca epistemologica in funzione della didattica della lingua.
Nell’anno accademico 2020/2021 è stato riattivato, dopo un anno di vacanza, il lettorato MAECI Teheran 1. I numeri degli iscritti all’Università, nonostante la pandemia, hanno mantenuto un trend positivo. Ci può illustrare il contesto di insegnamento dell’italiano in Iran e le principali motivazioni che spingono gli studenti a studiare l’italiano?
Gli iraniani sono molto interessati all’italiano e alla cultura italiana. Mi sono accorta, in questo anno a Teheran, che le cause del loro interesse sono molte. Se si può osservare un vivo amore degli iraniani per la vita “all’italiana”, l’italiano è per loro anche una possibilità di arricchimento in genere, e un’utile opportunità di rafforzamento e qualificazione in campo lavorativo.
Di certo, si può anche riconoscere una certa vicinanza delle due culture. Gli iraniani, pur essendo mediorientali, non sono arabi, ma persiani. La loro lingua e cultura appartiene al bacino delle lingue e culture indoeuropee: molti prestiti del persiano si ritrovano in italiano come, ad esempio, ‘scacco matto’, da ‘shah mât’, che significa ‘re sbigottito’, o il più famoso ‘paradiso’, da ‘pairidaēza’, che significa ‘giardino recinto’. La nostra lirica provenzale e lo Stilnovo, mi spiega il professor Basiri dell’Università di Teheran, mostrano interessanti contaminazioni con la poesia mistica persiana. Michele Amari, nella sua “Storia dei Musulmani in Sicilia”, osserva che, nel 1200, sotto Federico II, nell’isola trentamila soldati persiani favoriscono l’ingresso della rima nel parnaso della poesia romanza.
Non sorprende pertanto che vi sia una non trascurabile richiesta di italiano in Iran. La scuola italiana paritaria “Pietro Della Valle” offre agli allievi in formazione corsi di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di I e II grado. Università iraniane, pubbliche e private, nonché scuole di lingua private, tra cui la stessa “Pietro della Valle”, collegate a enti italiani abilitati alla certificazione, consentono agli adulti la possibilità di raggiungere anche i gradi più alti di conoscenza della nostra lingua. L’anno scorso, gli studenti che le hanno, a diverso titolo, frequentate, sono stati più di milleduecento. Circa centosessanta studenti si sono iscritti alle due università iraniane in cui sono presenti dipartimenti di italianistica. Entrambi a Teheran, sono uno all’Università Statale di Teheran e l’altro all’Università Islamica Azad. Fino a qualche anno fa vi era un Lettorato MAECI Teheran 2 presso l’Università Islamica. La sua mancanza è adesso sentita molto fortemente. Gli altri, adulti e giovani iraniani, in molti casi intenzionati a frequentare l’università in Italia, hanno frequentato, a Teheran e nel resto del paese, i corsi delle scuole.
Nonostante la comune origine con la lingua indoeuropea, sorgono non poche difficoltà nel momento in cui una lingua senza desinenze e articoli come quella iraniana si confronta con l’italiano, che si regge sulle concordanze tra genere e numero e sulla centralità degli articoli.
Il persiano è una lingua priva di marche di genere e di articoli. Al contrario l’italiano affida proprio a tali marche una parte importante della propria espressione di senso. Si tratta di una circostanza che genera, per gli studenti iraniani, specifiche difficoltà espressive. E non solo per gli studenti.
Dominare la catena linguistica di un pensiero in italiano, per i parlanti persiano, che sono circa 120 milioni nel mondo, richiede un duplice impegno di concettualizzazione: la modulazione del genere dei nomi, per lo più “inspiegabile” anche per i madrelingua, e l’uso dell’articolo, anch’esso assai complesso. È un surplus di impegno che porta gli studenti, in situazioni di particolare stress, a fare non pochi errori di coerenza testuale. La cruciale catena delle concordanze chiede la memorizzazione non solo dei nuovi lemmi nominali, ma anche del loro genere, operazione affatto semplice, in particolare per quelli del terzo gruppo, indifferentemente maschili e femminili. Il patto comunicativo tra parlante e ascoltatore impone, invece, la complessa modulazione dell’articolo che, secondo la definizione del linguista Weinrich, in italiano è un segno ostinato.
Le difficoltà espressive legate a tali importanti differenze tra le due lingue non dipendono da mancanza di applicazione o di volontà. Su di esse, all’Università di Teheran, si lavora con attenzione, scopro nel corso di una conversazione con la professoressa Sheikoleislami, alla ricerca, come me, di una irreperibile tesi di laurea su questo argomento discussa da un candidato dell’Università per Stranieri di Pisa. In particolare, vi è attenzione non solo all’analisi degli errori, ma anche alla valutazione e ai feedback da utilizzare per attivare, negli studenti, processi di riflessione linguistica, che, sottolinea ancora il professor Basiri, devono essere sempre sviluppati in parallelo tra la lingua madre e l’italiano. Per l’interesse che riveste l’indagine comparata dei sistemi comunicativi di due lingue indoeuropee come il persiano e l’italiano, sarebbe auspicabile che qui nascesse un centro di studi specializzato in didattica dell’italiano.
Oltre ai problemi linguistici, quali conseguenze ha generato la pandemia in termini di reperibilità delle strumentazioni tecnologiche, connettività, relazioni interpersonali per sostenere l’insegnamento a distanza?
Sono arrivata a Teheran il 23 novembre 2020. Tutto il mondo era in zona rossa mentre io, per sette ore, in una Malpensa deserta e spettrale, lavoravo al tavolino dell’unico bar aperto, in attesa di imbarcarmi sul volo Iran Air che sarebbe atterrato all’aeroporto Imam Khomeini all’alba del giorno dopo. Il clima da day after in cui sono arrivata mi ha fatto accettare di cominciare su WhatsApp il lavoro di lettrice, nonostante si trattasse, in effetti, di una pratica sostanzialmente ossimorica. Fare la lettrice usando una chat! Ma tant’era. Gli studenti erano sempre ben più di otto e non si potevano fare le videochiamate. Gli uffici amministrativi dell’Università funzionavano, come ovunque, a scartamento ridotto, e ci è voluto un bel po’ per avere le credenziali di accesso alla piattaforma dell’e-learning.
La necessità, si sa, aguzza l’ingegno. Nella mia condizione di straordinaria mancanza di mezzi, mi sono resa conto delle potenzialità dei messaggi vocali. Se è vero che il messaggio vocale non restituisce l’immediatezza dell’interazione, è però un’oralità che, a differenza di quella immediata, non si perde nel momento del parlato. Per l’insegnamento-apprendimento delle lingue, poter salvare la produzione orale è un vantaggio non secondario: si può riascoltare in vista di molteplici utilizzi, come un qualsiasi altro testo.
In Iran la didattica universitaria è tuttora on line. L’Università di Teheran, in cui insegno, non ha ancora riaperto e i corsi proseguono sulla piattaforma dell’e-learning. Insegnare a distanza non è agevole e riuscire a seguire è, soprattutto per gli studenti meno solidi, assai complicato. La rete qui ha spesso cali di intensità e non consente né l’uso del video, né la condivisione dello schermo, ma solo il canale audio. Per coinvolgerne un buon numero servono attività che li sollecitino continuamente. Gli studenti finora si sono adattati all’insegnamento a distanza, seppure manchi loro molto la vita universitaria. Molti hanno dovuto fare conti dolorosi con la pandemia e solo adesso cominciano a pensare a un ritorno alla normalità, solo a patto che siano garantite le misure di sicurezza. Provenienti da tutto l’Iran, sono spaventati da quanto è successo e temono il rientro in presenza, soprattutto per i dormitori che, non sempre sufficientemente grandi, li ospitano durante i periodi di lezione.
L’Iran è in questo momento ancora soggetto all’embargo e gli scambi commerciali con l’estero sono molto ridotti. Non è possibile acquistare prodotti stranieri come i libri italiani, nemmeno on line. La spinta alla ricerca didattica e ai cambiamenti metodologici, ovviamente, ne soffre. Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale offre la possibilità alle Università e alle scuole di lingua italiana di ricevere, per il proprio tramite, libri e novità editoriali. Si tratta di un’ottima misura che necessita, tuttavia, di un lavoro di accompagnamento, in qualche modo sostitutivo della normale promozione editoriale.
La didattica on line ha creato i presupposti per un incremento degli iscritti alle scuole di lingua italiana frequentate da adulti, studenti e lavoratori. Consente loro sia di frequentare corsi che si tengono lontano dalla propria residenza, dove magari non vi è offerta, sia nella propria città senza dover impegnare del tempo per gli spostamenti, che a Teheran possono portar via anche delle ore nelle giornate di traffico più intenso.
Quindi, nel marasma della crisi pandemica, sembra che questa distanza abbia creato le condizioni per sperimentare nuove metodologie e lavorare sulle quattro abilità di apprendimento, attraverso l’adozione di approcci didattici innovativi e attuali.
Considerato che in Iran si insegna l’italiano in un contesto persofono, per realizzare percorsi di insegnamento il più possibile autentici, ho pensato di sfruttare lo sterminato serbatoio di materiale linguistico presente in rete. Sulla scorta delle esperienze didattiche maturate durante la DAD in Italia, ho preparato itinerari di apprendimento della lingua italiana e di scoperta del sistema Italia che valorizzassero l’Italia e l’italiano fantasticati dagli studenti e i loro orizzonti personali di attesa e di senso.
La pandemia, che tanto ha nuociuto alla vita dei popoli, ha nello stesso tempo costretto l’insegnamento a fare i conti con le straordinarie potenzialità delle piattaforme digitali e della rete. In particolare, le risorse della rete si rivelano molto interessanti per l’insegnamento dell’italiano a studenti come quelli iraniani per i quali non è agevole recarsi in Italia e conoscere direttamente il nostro paese. In una tale prospettiva, l’esplorazione delle forme e del lessico diventano una puntuale messa a fuoco di quelle immagini legate alla cultura e ai contesti sociali e economici che uno studente iraniano ha a lungo immaginato e come già gustato.
Nel secondo semestre dell’anno scorso, ho progettato un percorso didattico per la comprensione del testo scritto rivolto a studenti di livello A1/A2, cioè studenti principianti del primo semestre preparatorio del quadriennio del BA. L’intento era di guidarne i primi passi nella comprensione rendendoli protagonisti di un’esperienza di scoperta della gastronomia italiana. Per farlo ho selezionato, per il loro livello di conoscenza della lingua e delle abilità da esercitare, materiali specifici, linguistici, iconici, audiovisivi, audio, oltreché siti e testualità nuove offerte dalla rete. Gli studenti, sostenuti nel proprio sforzo dall’immediatezza dei materiali proposti, hanno risposto mettendo realmente in gioco il proprio orizzonte di senso. La presenza attiva di un tale orizzonte libera lo studio di una lingua dall’astrattezza normativa e consente, nello stesso tempo, una penetrazione maggiore nella diversità e specificità delle varietà linguistiche e delle loro affascinanti espressioni.
Lungo il percorso ho proposto forme della lingua scritta che rappresentano la tradizione gastronomica italiana e sono vive nell’esistenza linguistica di un italiano. Modulate in funzioni e testi sempre diversi, ma sullo stesso tema (menu, filastrocche sul cibo, ricette, recensioni di ristoranti, descrizioni di città legate alle eccellenze gastronomiche, tratti della canzone della Pappa col pomodoro e della sceneggiatura della scena degli spaghetti di Miseria e nobiltà), hanno via via sostenuto processi di comprensione in bilico tra le due lingue della vita reale e dell’immaginario. L’alternanza dei due registri aiuta il coinvolgimento degli studenti e consente loro di sperimentare su piani diversi della lingua la comprensione referenziale e connotativa di uno stesso ambito semantico, di ampliare la penetrazione del lessico e di mettere meglio a fuoco anche la pronuncia. Se con gli studenti in fase iniziale di studio ho usato testi senza pretese letterarie, con quelli a un livello più avanzato, per un percorso analogo, potrei scegliere testi letterariamente più significativi, come quelli dello straordinario itinerario gastronomico dei Promessi sposi.
Un’ultima nota. Dopo che ho cominciato con l’e-learning dell’Università di Teheran, non ho più smesso di usare il gruppo Whatsapp. Il gruppo, opportunamente gestito, è diventato lo spazio in cui prende forma, durante il semestre, il ‘libro’ vivo del corso, fatto, con il contributo di ognuno, di tutto quanto può essere utile al viaggio linguistico e culturale tra Iran e Italia. Gli studenti, lezione per lezione, vi condividono, tra loro e con me, i propri lavori, scritti e vocali, le correzioni e le autocorrezioni e io condivido con loro il materiale didattico, i contributi teorici, le note di lezione, le testualità oggetto di studio e di supporto, letterarie e non, iconiche, video audio, e, di volta in volta, a commento e chiarimento, testi multimediali, schermate di siti web o di Google Maps.
Marina Forti, nel 2017, scriveva nel suo articolo su Internazionale Leggere e tradurre L’Italia a Teheran, che “la sorpresa è scoprire che in Iran si traduce moltissimo e ogni casa editrice che si rispetti ha in catalogo almeno qualche autore italiano del Novecento […] sui banchi di Qoqnoos e Cheshmeh, due tra i cinque o sei principali editori in Iran, vedo Italo Calvino e Antonio Tabucchi. C’è perfino una casa editrice che vive di traduzioni dall’italiano e poco altro”. A questa voracità di lettura, bisogna pur rispondere con eventi e progetti che soddisfino la voglia di italiano. Lei, che ha anche incarichi extra accademici, come collabora con gli enti locali e le istituzioni in loco per promuovere la lingua e cultura italiana al di fuori dell’Università?
È stata una sorpresa anche per me scoprire quanto in Iran si traduca dall’italiano. Una pur breve e del tutto incompleta ricognizione rende, solo in parte, la vivacità dell’impegno editoriale delle case editrici iraniane e dei loro traduttori, nonostante l’attuale grave crisi della carta. Sono da poco usciti, con il contributo speciale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, tre libri della casa editrice Fuorilinea, tradotti da Massud Hatami per Ketap-e Khorshid e Hoonar. Qualche giorno fa ho visto quello di Maurizio Carletti in bella mostra nella libreria della Casa degli Artisti. Sempre con un contributo del Ministero, sono anche stati pubblicati un’antologia di testi fondamentali della letteratura italiana, dal poema cavalleresco a Pascoli, e il Colibrì di Sandro Veronesi. Il primo è stato tradotto da Iman M. Basiri per la Casa Editrice dell’Università di Teheran, tra le più prestigiose del Medio Oriente, e l’altro, per Ketap-e Khorshid, da Mehdi Mousavi che, durante il primo lockdown, ha anche tradotto, per la stessa casa editrice, l’ultimo libro di Elena Ferrante La vita bugiarda degli adulti. Nel corso di un’iniziativa dell’Ambasciata d’Italia, organizzata per il centenario della nascita di Leonardo Sciascia, Giacomo Longhi ha presentato la versione persiana de Gli zii di Sicilia curata da Sanam Ghiaei. La traduttrice si è soffermata, a tratti in maniera anche commovente, su quanto, per lei, tradurre il libro abbia voluto dire far esperienza di qualcosa di come già noto, i parenti lontani, l’emigrazione, lo sguardo indagatore dei bambini tanto simile a quello dei piccoli di Kiarostami. Va detto che in Iran non si traducono solo libri di letteratura italiana. È in uscita, per la Hermes, un’opera importante di critica letteraria come la Letteratura italiana contemporanea di Giulio Ferroni.
Un tale fermento è un buon humus per l’attività di promozione della lingua italiana. Fino ad ora non è, però, stato possibile organizzare iniziative aperte al pubblico. La pandemia ha impedito di riunire più di una ventina di persone nello stesso luogo. Ci si augura che quest’anno si potrà ricominciare con manifestazioni di più ampio respiro. Intanto stiamo promuovendo il Premio Campiello Giovani tra gli studenti di italiano e mettendo a punto la nostra programmazione.
L’Iran sta conoscendo una rinascita dal punto di vista culturale. Teheran, soprattutto, è un centro propulsore di nuove esperienze artistiche e una fucina creativa di grandi cineasti e musicisti. Tra questi, vediamo come i Bowland, gruppo elettronico dalla poetica musicale raffinata, abbiano scelto Firenze e l’Italia come paese dove sviluppare il proprio talento artistico. C’è poi il regista Asghar Farahdi, che ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero, a dire chiaramente che il neorealismo italiano ha ispirato lui e la sua generazione di registi. Percepisce nei suoi studenti un’affinità sottesa tra l’attrazione per l’Italia e il risveglio culturale che ferve nella capitale?
L’Iran è un paese che ha una storia culturale lunghissima e importante, mai veramente interrotta. I suoi scambi con quella italiana, e occidentale in generale, sono anch’essi antichi e proficui. Non a caso il Victorian and Albert Museum ha, quest’anno, dedicato un’importante mostra all’Iran epico. Basta camminare per Teheran per rendersene conto. Come i palazzi tradizionali in mattoncini convivono con gli altri di gusto razionalista, altrettanto eleganti, nello stesso modo la pittura, la letteratura e il cinema contemporaneo esprimono le contraddizioni tanto della realtà iraniana, quanto, emblematicamente, della contemporaneità globale, stretta tra un passato che sfugge e un futuro difficilmente immaginabile.
La contraddizione, che in Iran non sembra mai qualcosa da risolvere, bensì una condizione costitutiva della vita, innerva la ricerca degli artisti locali e dà vita ad opere che indagano pervicacemente la complessità dell’esistenza, al di là delle apparenze. Voglio ricordare a questo proposito un recente film, bello e importante, che pochi giorni fa ha vinto il premio del Middle Est Now Festival di Firenze, assegnato in memoria di Felicetta Ferraro. Radiograph of a family di Firouzeh Khosrovani racconta la rivoluzione attraverso la storia del padre laico della regista e della madre religiosa praticante. Il film, come dice la Khosrovani, prova a superare gli stereotipi e ad affrontare la prospettiva femminista della rivoluzione iraniana, l’aspetto non considerato dell’emancipazione delle donne rivoluzionarie che hanno ottenuto un’identità sociale e professionale grazie alla Rivoluzione Islamica.