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Lettori per l'italiano #5. Dakar
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Lettori per l’italiano #5. Dakar

Categorie: Non categorizzato -Lingua e formazione

Intervista con il lettore Umberto La Torraca.

Lettori per l'italiano
Lettori per l’italiano

A cura di Margherita Marziali, Ilaria Taddeo e Annarita Guidi

La nostra rubrica “Lettori per l’italiano” continua con il Lettorato di italiano all’Università Cheikh Anta Diop, a Dakar.

Umberto La Torraca, docente liceale di ruolo, dal 2015 è Lettore di italiano presso la Facoltà di Lettere e Scienze Umane e la Facoltà di Scienze e Tecnologie dell’Educazione e della Formazione dell’UCAD, con incarichi extra-accademici all’Ambasciata d’Italia e all’Istituto Italiano di Cultura.

 

Dati alla mano, lo studio dell’italiano in Senegal, soprattutto in età scolare, sembra essere in costante crescita. Ci può spiegare meglio questo fenomeno alla luce del contesto di insegnamento e del profilo dell’utenza a cui ci si rivolge?

In Senegal il sistema scolastico è modellato su quello francese. L’italiano è materia di studio opzionale negli ultimi due anni dei collèges e nei licei, che durano tre anni. Il numero degli studenti senegalesi che scelgono di studiare la lingua italiana è in crescita costante da anni. Le ragioni del fenomeno sono molteplici. Un primo elemento da considerare è la forte presenza di immigrati senegalesi in Italia. Pertanto la scelta della nostra lingua può derivare dall’influenza di un parente che già vive nel nostro paese e dal desiderio di emigrare a propria volta in Italia. Non si deve poi dimenticare che il Senegal è un paese molto giovane (l’età media è di 18 anni) con tassi di scolarizzazione crescenti. Aumentando il numero complessivo degli studenti aumenta di necessità anche la frequenza delle singole discipline. Infine non si può negare il fascino esercitato anche in Senegal da alcuni aspetti della cultura italiana, non necessariamente la cultura “alta”, che qui ha meno presa, ma soprattutto lo sport, con il calcio in primo piano, o la cucina o ancora i marchi automobilistici di gran fama.

E all’università che cosa succede? I numeri degli iscritti e degli alunni frequentanti il corso di italiano rimangono costanti?

La lingua italiana è attualmente insegnata solo nel principale ateneo del Senegal, l’Università Cheikh Anta Diop di Dakar. Nel recente passato esisteva un corso di lingua italiana anche nel sud del paese, nell’Università di Ziguinchor, corso che è poi stato abolito. All’Università di Dakar insegna oggi una sola docente titolare di italiano, coadiuvata per un numero residuale di ore da altri due docenti, ormai in pensione. Quest’anno l’università ha avviato una procedura di selezione per due nuovi docenti.

Il numero degli studenti si aggira intorno ai 400 o poco meno, ed è stabile da alcuni anni. In questo caso il problema principale è lo sbocco lavorativo: molto difficilmente il mercato del lavoro potrebbe assorbire un numero maggiore di laureati d’italiano. Attualmente qualche laureato trova occupazione come interprete presso le non molte ditte italiane attive in Senegal, altri si dedicano alle attività turistiche, la maggior parte però diventa insegnante di lingua italiana nelle scuole pubbliche e private. Alcuni studenti universitari, infine, intendono sfruttare la conoscenza della lingua per emigrare in Italia e trovare così migliori condizioni di vita. A fronte della motivazione utilitaria allo studio dell’italiano, gli studenti all’università si cimentano in un percorso di studi prevalentemente accademico, dove seguono materie come Letteratura italiana medievale, Letteratura moderna, Storia della lingua italiana. E così i membri di una cultura che vive immersa nel presente si interfacciano con autori, concetti e categorie che rappresentano il passato per eccellenza.

Quali sono allora le strategie che mette in atto per rendere autori come Dante, non diciamo attraenti, ma almeno più accessibili?

Non è facile far comprendere agli studenti senegalesi l’opera di scrittori come Dante, Petrarca e Boccaccio, che pure rappresentano una tappa fondamentale per la formazione della cultura e della stessa lingua italiana. Tanto per fare un esempio, è già difficile introdurre il concetto stesso di Medioevo, che alla lettera si riferisce a un’età di mezzo fra un “prima” (l’età classica) e un “dopo” (l’epoca moderna), ma del “prima” gli studenti senegalesi non hanno alcuna nozione. I problemi politici di epoca medioevale, lo scontro tra Guelfi e Ghibellini, appaiono qui del tutto astrusi. Difficile è inoltre far comprendere cosa sia un ordine monastico, anche perché il Senegal è un paese a larga maggioranza musulmana. A volte cerco di illustrare alcuni concetti facendo riferimento agli usi locali, ad esempio per spiegare cosa fosse la lauda la paragono ai khassaides, i canti religiosi della confraternita mourid, mentre per rendere l’idea di cosa siano i francescani, cito il movimento Baye Fall, che condivide con quello italiano alcuni principi, come il rifiuto dei beni materiali e dell’individualismo. Naturalmente ogni confronto con le tradizioni locali è fecondo e interessante a patto di non scadere nella banalizzazione e di tener conto anche delle differenze oltre che dei punti di contatto, che certo esistono.

Se l’italiano di Dante (al centro delle celebrazioni per il Settecentenario e della XXI Settimana della lingua italiana nel mondo) e il Medioevo risultano già una materia ostica per uno studente di un liceo italiano, figuriamoci per un senegalese. Recentemente, però, il I canto dell’inferno dantesco è stato tradotto, su iniziativa dell’IIC di Dakar, in lingua wolof da PapKhouma. Lo ha portato in classe per leggerlo insieme ai suoi studenti?

Sì, è stata un’iniziativa molto interessante realizzata dalla precedente Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Dakar, Cristina Di Giorgio. Il wolof è la lingua più diffusa e maggioritaria in Senegal, dove tuttavia esistono circa venti lingue nazionali. Altre lingue molto diffuse sono, ad esempio, il pular o il sérère. Il complesso quadro linguistico è poi complicato, come in quasi tutti gli stati africani, dalla presenza dell’ex lingua coloniale, qui il francese, che poi è stata adottata come lingua ufficiale. I senegalesi apprendono in genere il francese quando iniziano ad andare a scuola, perché i corsi si tengono appunto in tale lingua. Da un certo punto di vista il quadro linguistico del Senegal assomiglia a quello che esisteva in Italia in passato, quando in famiglia si parlava uno dei tanti dialetti della nostra penisola e poi a scuola si apprendeva il latino prima e poi, più di recente, l’italiano. La traduzione del primo canto in wolof è stata un’impresa non facile, anche per ragioni lessicali. Ad esempio in wolof non esiste una parola per indicare il concetto di “montagna”. Ho provato a utilizzare la traduzione durante il corso di Letteratura medioevale, ma non è stato semplice, perché buona parte della classe era di etnia pular e aveva una conoscenza solo approssimativa e strumentale del wolof. In classe è molto più utile affidarsi a una traduzione francese dell’opera.

La pandemia è stato un vero campo di prova per il mondo della formazione, contribuendo ad acuire problemi già esistenti. Quali sono state le conseguenze generate dell’emergenza sanitaria e che tipo di sfide vi siete trovati ad affrontare nella sua Università?

La pandemia ha complicato molto la vita dell’università, che è rimasta chiusa per vari mesi nel corso del 2020 e che, ancora quest’anno, sconta ritardi e difficoltà varie. Contrariamente a quanto è accaduto in Italia non è stato possibile, se non in modo marginale, ovviare al blocco dei corsi in presenza con le attività on line. In Senegal infatti l’università e gli studenti non hanno sempre a disposizione quegli strumenti informatici che in Italia hanno permesso di tenere corsi a distanza.

A ottobre hanno preso il via i corsi di italiano. Ci può offrire un fotogramma eloquente del suo primo giorno di lezione e  ricordare le previsioni di allora sull’andamento del nuovo anno accademico, tra evoluzione della pandemia e nuovi progetti in cantiere?

In realtà a ottobre 2021 non abbiamo iniziato il nuovo anno accademico, bensì il secondo semestre dell’anno precedente. Ho già accennato ai consistenti ritardi che la pandemia ha determinato e che si sono sommati alle difficoltà che già esistevano in periodi di normale attività accademica. Il primo giorno ho ritrovato con piacere gli studenti del corso di licence, con la speranza di riuscire, un po’ alla volta, a recuperare un po’ del tempo perduto a causa del Covid.

 

 

 

 

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